Il riso è una pianta molto comune e coltivata in molti paesi del mondo che, per la sua
adattabilità, costituisce il secondo cereale più coltivato dopo il mais; tuttavia, se si considera che il mais ha in gran parte scopi industriali, mentre
il riso viene utilizzato solo per l’alimentazione umana in varie forme, esso risulta
essere il cereale più consumato al mondo.
In Italia, a causa della maggior presenza di frumento, non è consumato come nel
resto d'Europa dove il consumo medio a persona è pari a circa 5 chili all’anno;
in Spagna il valore sale a 7, ma è ancora nulla se paragonato ad un paese del
sud-est asiatico come il Laos dove il consumo medio è di 170 chili all’anno per
persona, risultando una delle fonti di sostentamento più importanti.
In natura esistono diverse varietà di piante appartenenti al genere Oryza, di cui fa parte il riso, ma tra queste sono solamente due quelle coltivate:
l’Oryza sativa, che è il riso più comune (95% delle coltivazioni) e l’Oryza glaberrima, che viene coltivato solo in Africa perché si caratterizza per una resistenza
alla siccità particolarmente elevata.
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A sua volta, di Oryza sativa esistono diverse varietà, per una specie comparsa probabilmente sull’Hymalaya
ma che in seguito è stata esportata in tutto il mondo; non c’è continente (Antartide
a parte), infatti, in cui non venga coltivato il riso.
Di riso, poi, esistono diverse varietà, con piccole differenze dal punto di vista
botanico e produttivo. Le tre varietà principali e coltivate di Oryza sativa sono
la varietà Indica, Japonica e Javanica.
• La varietà Indica è tipica dei climi tropicali, quindi viene coltivata soprattutto in India, in
America del Sud e nei paesi asiatici dove il clima consente una produttività migliore
seppure non altissima. Questo tipo di riso ha un alto valore sul mercato ed è
caratterizzato da una cariosside (un chicco) lunga e sottile.
• La varietà Japonica viene coltivata nei climi temperati, tra cui il Giappone da cui prende il nome,
la Corea, la parte settentrionale della Cina e anche l’Italia, soprattutto nella
zona della Pianura Padana. Ha un valore di mercato più basso, le cariossidi sono
corte e arrotondate e la produttività è superiore rispetto alla varietà Indica.
• La varietà Javanica è una varietà meno diffusa a causa del fatto che i chicchi sono più grandi rispetto
alle altre due varietà ma allo stesso tempo la produttività è molto minore in
confronto alle altre due specie, motivo per cui la sua coltivazione è piuttosto
rara. Si trova nelle Filippine, ed è in grado di resistere a temperature particolarmente
basse.
Queste tre varietà, a loro volta, si suddividono in ulteriori sotto-varietà.
Il riso Basmati è una delle poche varietà di riso Indica che si possono trovare comunemente nei supermercati, mentre tutte le altre,
compresi risi particolari come il Venere o l’Ermes, appartengono tutte alla varietà Japonica.
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Caratteristiche botaniche del riso Il riso è una pianta che, per le sue caratteristiche botaniche, viene coltivato
in un ambiente molto diverso rispetto a quello degli altri cereali. Le risaie,
ambienti molto caratteristici, hanno la particolarità di essere sommerse, inondate
dall’acqua, che ricopre la parte bassa della pianta e fa in modo che il riso non
necessiti di irrigazione di alcun tipo. Altre piante in queste condizioni soffocherebbero,
perché le radici hanno per la pianta anche una funzione respiratoria, e non devono
essere completamente sommerse.
Questo non accade nel riso perché le sue radici sono di tipo diverso, e in particolare
sono composte da due tipologie: ci sono le radici embrionali, le più giovani, che hanno funzione nutritiva per la pianta, e le radici avventizie, le più vecchie, all’interno delle quali compaiono dei particolari canali detti
vasi aeriferi: questi convogliano l’aria, che giunge dalle parti più alte della pianta (di
solito dove dal culmo, dal gambo, si staccano le foglie) e permette la respirazione
delle cellule delle radici. In questo modo il riso riesce a sopravvivere in ambiente
sommerso senza soffocare.
La semina del riso si può fare sia interrandolo, sia direttamente in acqua: in
questo ultimo caso, il chicco è già germogliato e inizia a crescere non appena
raggiunge la terra, sott’acqua. Le radici che si sviluppano fin da subito hanno
anche lo scopo di ancorare la pianta al terreno, ma non si si spingono a grande
profondità a differenza delle radici di altri cereali, che lo fanno per cercare
l’acqua.
Così il riso inizia a crescere, di solito seminato in primavera e raccolto in
autunno, e si alza una pianta annuale che può raggiungere un metro, un metro e
mezzo di altezza (ma esistono varietà non produttive che arrivano fino a cinque
metri!); in altezza, tramite la selezione, le piante non si fanno crescere molto
perché questo ne minerebbe la produttività.
All’apice del culmo nasce poi l’inflorescenza, ovvero il gruppo di fiori, disposto a pannocchia; i fiori, che sono presenti
sulla pianta prima dei frutti (che poi sono le cariossidi del riso, i chicchi)
sono ermafroditi, perciò ognuno è in grado di produrre sia i gameti femminili
che quelli maschili; l’impollinazione è autogama, il che significa che ogni pianta
con i suoi stami (l’organo riproduttore maschile) feconda il proprio pistillo
(l’organo femminile) senza influenzare le piante vicine.
Il frutto, detto cariosside, inizia così a maturare, a crescere, fino a seccare; è a questo punto che sulla
pianta sono visibili grandi rivestimenti intorno al chicco, che sono i suoi invogli,
detti glumelle. Il riso viene raccolto con questi invogli, e si parla di risone, che dovrà essere sottoposto ai processi industriali per assumere la sua forma
più conosciuta.
Il riso impiega dai 150 ai 180 giorni per giungere dalla semina alla raccolta.
In Italia viene effettuato un solo raccolto di riso all’anno, mentre in alcune
parti del mondo, dove il clima è più stabile e favorevole, si effettuano anche
due raccolti. Per ogni chicco seminato, nelle condizioni migliori, si riescono
ad ottenere ben 300 chicchi per pianta.
Raccolta e lavorazione del riso Una volta che il riso è cresciuto sulla pianta, si passa alla fase di raccolta
cui seguirà quella di lavorazione, che prevede la rimozione degli invogli dal
risone. La raccolta avviene attraverso macchinari agricoli pensati per poter entrare
direttamente in acqua. La pannocchia, che si trova nella parte più alta della
pianta, viene tranciata e raccolta.
A questo punto l’umidità del riso è ancora troppo alta per poterlo conservare,
nonostante il chicco sia già secco: per questo motivo, è necessario un processo
di essiccamento che abbassi l’umidità in modo da poterlo conservare ed eventualmente
lavorare. In passato questa operazione veniva effettuata direttamente dagli agricoltori
in uno spazio dove il riso rimaneva esposto al sole per due o tre giorni (peraltro
con il rischio che la pioggia potesse rovinarlo); oggi, invece, viene compiuto
attraverso appositi macchinari industriali per cui il riso, dopo la raccolta,
viene portato direttamente nel centro di lavorazione. Qui viene seccato attraverso
un flusso di aria calda per renderlo conservabile prima che si passi alla fase
di sbramatura, o pelatura del riso, nella quale vengono rimosse le glumelle esterne, quindi gli invogli, da dischi rotanti che tuttavia non intaccano il
granello in sé.
Il riso così ottenuto è il riso integrale, cui sono state rimosse le foglie che lo circondano ma non gli invogli più interni,
quelli che aderiscono intimamente al chicco, che necessariamente devono essere
grattati via.
Ancora, il riso subisce due fasi all’apparenza simili, che sono la sbiancatura e la lucidatura. Entrambi i procedimenti avvengono facendo passare i chicchi di riso all’interno
di coni che ne grattano la superficie, la prima in modo più grossolano ma più
profondo, la seconda in modo più fine. Se viene effettuata solamente la prima
fase abbiamo il riso semilavorato, detto anche riso mercantile e meno facile da conservare. Nel riso comunemente consumato è stata effettuata
anche la lucidatura, che dà il riso bianco.
Esistono anche altre due tecniche atte a rendere il riso ancora più lucido, ovvero
la brillatura e l’oliatura, da utilizzare una in alternativa all’altra. Si tratta di lavorazioni che oggi
non vengono più effettuate, perché il risultato della lucidatura è già abbastanza
elevato. Tuttavia, anche se non subisce più l’operazione di brillatura, il riso
lucidato è detto ad oggi “riso brillato”.
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