Il tartufo è uno degli alimenti più rari e quindi pregiati presenti in natura. Ad oggi,
se ne conoscono molte specie ma solo alcune di esse sono commestibili, ed alcune
sono più pregiate di altre. In gastronomia, esso non viene mai utilizzato intero
ma suddiviso in piccole parti: pochi grammi bastano a conferire il suo tipico
e intenso aroma ad un intero piatto.
Botanica Nonostante la sua forma possa trarre in inganno, assimilandolo alla patata, il tartufo è in realtà un fungo e più precisamente un fungo ipogeo, ovvero un fungo che passa tutta la sua vita sotto terra, a differenza dei funghi
detti epigei come i porcini che hanno una parte del loro corpo fuori dal terreno.
I tartufi appartengono al genere Tuber, che si suddivide in molte specie diverse; difficilmente il nome commerciale
con cui queste sono conosciute è anche il loro nome scientifico.
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Ciclo biologico Per comprendere come si possono trovare i tartufi e perché sia stato possibile
individuarli da oltre duemila anni, è opportuno innanzitutto parlare del ciclo
biologico del tartufo, ovvero della sua vita e della sua riproduzione. Proprio
come gli altri funghi, il tartufo si riproduce per diffusione di spore. Le spore vengono disperse nell’aria o nel terreno, dove devono stabilirsi intorno
alle radici di particolari piante con cui avranno un rapporto simbiotico detto
micorriza. Per questo motivo i tartufi si possono trovare solo nei dintorni di certe piante,
specifiche per ogni specie di tartufo.
Per svilupparsi, il tartufo necessita di condizioni del terreno ben precise per
cui potrebbe accadere che le spore di un tartufo nei dintorni della pianta “giusta”
non formi la micorriza perché incapace di crescere in un terreno a lui sfavorevole.
Ad esempio, il Tartufo Bianco Pregiato (Tuber magnatum) è in grado di crescere effettivamente solo in alcune zone precise, e comunque
in un’area ben delimitata geograficamente.
Una volta che le spore del tartufo hanno trovato la situazione ottimale per la
loro crescita, devono trovarsi nei pressi degli apici radicolari di una pianta
(la punta delle radici) dove dalla spora nasceranno le prime ife, catene di cellule fungine che si legheranno alla pianta, entrando in parte
al suo interno (micorriza).
Questo rapporto apporta benefici ad entrambi gli organismi: la pianta, infatti,
ricca di sostanze nutritive grazie alla fotosintesi clorofilliana che le permette
di produrle dall’energia solare, le cede al tartufo mentre questo, grazie ad altre
ife raccolte dal terreno, cede alla pianta acqua e sali minerali.
Una volta creato il rapporto di simbiosi, se il tartufo riesce ad avere sufficienti
sostanze nutritive dalla pianta (il tartufo nella prima fase si presenta come
un insieme di filamenti) le ife iniziano ad intrecciarsi tra loro e formeranno,
con il tempo, il frutto vero e proprio, il tubero che sappiamo identificare come
tartufo.
Quando il frutto è completamente cresciuto, inizia ad emettere il suo tipico
odore che può essere percepito anche fuori dal terreno da alcuni animali dall’olfatto
particolarmente fino (suini e roditori, solitamente, mentre i cani sono in grado
di percepirlo solo se addestrati) che possono scavare per raggiungere il tartufo
ed estrarlo dal terreno.
A differenza dei funghi epigei, che hanno gli aschi, ovvero i sacchetti contenenti le spore, nella parte inferiore del cappello
e li rilasciano grazie all’azione del vento, gli aschi del tartufo si trovano
dentro al tartufo stesso, sotto la buccia, e possono uscire solo se il tartufo
viene rotto.
Quando un animale rompe il tartufo mordendolo, le spore hanno quindi modo di
liberarsi e di spostarsi a contatto; altra modalità di trasmissione è quella fecale: spore eventualmente non digerite dall’animale vengono deposte sul terreno con
le feci, per poi diffondersi diffondere e continuare il ciclo vitale, qualora
sussistano le condizioni.
Una curiosità riguardo ai tartufi e che li distinguono dai funghi è che non esistono specie di tartufo velenose: se in molti funghi le micotossine sono un meccanismo di difesa che consente
di evitarne il consumo da parte dell’uomo e degli animali, per il tartufo l’essere
commestibile è essenziale nel completamento del suo ciclo biologico. Dunque se
fosse mai esistita una specie di tartufo velenoso, essa sarebbe stata ben presto
destinata all’estinzione.
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Anatomia del tartufo Fungo a tutti gli effetti, il tartufo condivide con gli altri funghi le caratteristiche
principali del regno fungino, ovvero l’essere eterotrofi, il riprodursi tramite spore e il non avere tessuti nel loro organismo. La sua
anatomia, tuttavia, è diversa.
Con tartufo si intende solamente il frutto (corpo fruttifero) dello stesso, senza considerare dunque le ife, che sono parte importante della pianta ma che generalmente si spezzano nel
momento della raccolta a causa della loro fragilità.
Il frutto è composto da una buccia detta Peridio, che ha la funzione di proteggere la polpa interna dagli attacchi dei batteri
e dei funghi parassiti che possono vivere nel terreno, impedendo così il completamento
del ciclo biologico. Il Peridio può essere di colore diverso, che va dal giallo
chiaro al grigio scuro secondo le specie; colori anomali possono essere indice
di micosi.
Il Peridio, e di conseguenza il tubero, può assumere forme diverse e più o meno
irregolari: questo dipende essenzialmente dalla composizione del terreno, e le
parti più incavate sono quelle dove la terra ha opposto maggior resistenza alla
crescita del frutto.
Le dimensioni del tartufo possono variare molto, dalle dimensioni di un pisello
a qualche chilo di peso; questo dipende dal terreno, dalla specie ma soprattutto
dall’accesso all’acqua che il tartufo ha avuto nel corso della sua vita.
La polpa interna si chiama gleba ed è composta essenzialmente da due strutture: delle venature, più chiare, che sono le ife intrecciate che hanno dato origine al tartufo stesso,
e delle parti più scure che contengono gli aschi, ovvero i sacchetti che a loro
volta contengono le spore del tartufo.
La gleba può essere anch’essa di colore diverso in base alla specie di tartufo
ma anche al grado di maturazione del tartufo stesso (esso tende a scurire). Attraverso
un’analisi macroscopica ed un’analisi al microscopio della forma degli aschi e
delle spore del tartufo lo si riesce a classificare e ad inserire nella tassonomia;
questo determina, in ambito commerciale, anche il prezzo del tartufo stesso.
Il tartufo si sviluppa generalmente pochi centimetri sotto terra, ma nel corso
della sua vita si sposta fino a circa 20-30 centimetri di profondità. Lo spostamento
non avviene autonomamente, ma a causa della radice micorrizzata a cui il fungo
si lega, che con l’abbassarsi delle temperature durante l’inverno tende a scendere
in profondità portando con sé le ife del tartufo.
Raccolta del tartufo Le prime notizie relative alla raccolta del tartufo risalgono a circa 2000 anni
fa, con le testimonianze di Plinio il Vecchio che parla di come esso fosse particolarmente
apprezzato sulla tavola dei ricchi romani.
All'epoca, la raccolta del tartufo veniva effettuata con i maiali, con l'inconveniente
che essi dopo averli individuati e recuperati tendevano a mangiarli. Il problema
è stato risolto con il tempo attraverso l'utilizzo di cani opportunamente addestrati;
in questo caso essi si limitano a mostrare al padrone l'ubicazione del tartufo
ma non a consumarlo poiché estraneo alla loro dieta.
Non esiste una vera e propria razza “da tartufo"; l’olfatto di tutti i cani è
abbastanza potente da trovarli; chi cerca tartufi, tuttavia, predilige l'utilizzo
di cani di piccola taglia, poiché riescono ad entrare meglio nel sottobosco. Inutile,
se non controproducente, la ricerca dei tartufi senza cani; anche se si riesce
ad individuare l'albero apparentemente giusto, uno scavo indiscriminato rischia
di provocare la distruzione delle radici micorrizzate impedendo la nascita di
nuovi tartufi.
La legge 752 del 16 Dicembre 1985 regola alcuni aspetti della raccolta dei tartufi;
essa in realtà non è vincolante, ma fornisce delle linee guida che si traducono
in 21 leggi regionali, una per regione. Per raccogliere tartufi è necessario ottenere
l’idoneità secondo le norme stabilite da ogni regione (di solito, basta pagare
una tassa).
Tra le regole generali vi sono quella per cui la raccolta non può essere effettuata
durante la notte, non si può effettuare nelle aree private, non si possono raccogliere
tartufi che non siano maturi ed è obbligatorio ricoprire la buca dopo aver estratto
il tartufo. La ricopertura è necessaria perché permette di mantenere il terreno
nelle condizioni presenti prima della raccolta; essa deve essere effettuata con
delicatezza poiché dopo la rottura delle ife esterne al frutto è importante che
esse rimangano sotto terra in modo che, in condizioni ideali, in quel punto possa
nascere un altro tartufo.
Per ogni specie di tartufo è previsto, dalle singole leggi regionali, un periodo
di raccolta che deve essere rispettato; raccogliere tartufi fuori stagione significa
raccogliere tartufi immaturi che, oltre a non avere il sapore e l’odore tipico
del tartufo maturo, non hanno ancora mature le spore.
La coltivazione del tartufo Per le sue caratteristiche, il tartufo non si può coltivare ma solo raccogliere. Non si possono semplicemente mettere le spore nel terreno (come si fa per alcuni
funghi saprofiti) perché c’è sempre bisogno della pianta con cui formare la micorriza,
e questo rapporto può essere complesso da gestire. Tuttavia sono in sperimentazione
tecniche di coltivazione che richiedono il posizionamento di piante in un terreno
favorevole.
Le aree adibite a tali pratiche si chiamano tartufaie. La legge 752 distingue due tipi di tartufaie: le tartufaie coltivate e le tartufaie controllate: le prime sono create da zero, le seconde sono aree dove erano già presenti
piante da tartufo a cui ne vengono aggiunte di nuove e nelle quali vengono effettuate
operazioni come l’irrigazione e la rimozione delle piante infestanti. Se adeguatamente
identificata, una tartufaia privata è accessibile solo al proprietario della stessa.
Per iniziare una tartufaia coltivata, è necessario avere delle piantine micorrizzate,
ovvero piante in grado di formare una micorriza con il tartufo (una pianta può
essere anche una quercia, ma in questo caso potrebbero volerci anni per ottenere
una tartufaia) che vengono, da piccole, irrigate non con acqua normale ma con
un misto di acqua e poltiglia (spore) di tartufo, così da rendere più probabile
la formazione della simbiosi.
Le piante si innestano nel terreno in una tartufaia già presente o in un terreno
privo di piante; in quest’ultimo caso è opportuno effettuare preventivamente un’analisi
chimica del terreno per sapere se esso è più o meno adatto allo scopo. A questo
punto, non resta altro da fare che mantenerla, ciò che può richiedere diversi
anni fino al momento in cui poter raccogliervi i tartufi, operazione che è sempre
e comunque assimilabile ad una raccolta più che ad una coltivazione nel senso
convenzionale del termine.
Si comprende quindi che, nonostante alcune specie di tartufi siano “coltivabili”,
il loro prezzo resterà sempre elevato a causa dei costi della creazione della
tartufaia e del suo mantenimento, nonché dei tempi necessari alla maturazione
dei tartufi.
Caratteristiche nutrizionali Le caratteristiche nutrizionali del tartufo sono irrilevanti poiché se ne consuma
generalmente pochissimo (difficilmente, in un piatto, ne finiscono più di 3 grammi)
con effetti quindi limitati sull'organismo.
Dal punto di vista nutrizionale, comunque, non vi è particolare differenza tra
specie di tartufo di pregio maggiore e minore: più che la composizione chimica
del fungo, ciò che lo rende più pregiato è la sua capacità di conservare e di
liberare il suo odore.
Sottoriportata, la tabella nutrizionale del tartufo, prendendo come esempio il
Tuber magnatum, conosciuto come Tartufo Bianco Pregiato:
Acqua
Proteine
Proteine
Zuccheri
Fibra
Ceneri
Quantità
82,5
4,2
2,1
0,3
8,4
2
Come si vede, il tartufo è costituito essenzialmente da acqua, presente in quantità superiore all’80%: un tartufo non può svilupparsi, infatti,
se non in condizioni ottimali di acqua, per cui nella sua coltivazione è essenziale
una regolare irrigazione del terreno.
L’altro elemento più presente è la fibra, contenuta anche all’interno del tartufo, nella parte commestibile (nell’analisi
il peridio non è compreso). Dal momento che la fibra non viene digerita dall'uomo,
si comprende come oltre il 90% del tartufo, di fatto, non venga digerito.
Le proteine sono presenti in quantità minima ed hanno essenzialmente la funzione di composizione
delle strutture interne del fungo (ricordiamo che le cellule stesse sono composte
essenzialmente da proteine) e questo vale anche per i grassi: come per tutti i
funghi, i lipidi sono solo quelli strettamente necessari alla biologia della pianta e, a differenza
degli animali, non vengono utilizzati come energia di riserva.
Le ceneri (che sono i sali minerali, ma in fase di analisi l’alimento viene bruciato a temperature altissime e i
sali, che sono l’unica cosa che rimane, hanno per l'appunto l’aspetto di cenere)
sono presenti in discreta quantità, dal momento che il tartufo provvede a convogliare
proprio i sali minerali alla pianta in prossimità della quale si sviluppa.
L’odore del tartufo Ad oggi, i ricercatori non sono ancora riusciti a comprendere l'origine dell'odore
piacevole e particolare che caratterizza il tartufo ancor prima che il suo sapore.
Ciò perché sembra che l’odore sia fornito non da un solo composto, ma da una grande
quantità di molecole che appartengono a categorie chimiche molto differenti tra
loro. Particolare importanza sembrano averla i composti solforati, nelle cui molecole è presente anche qualche atomo di zolfo.
Queste molecole, tra l’altro, somigliano molto ad alcune molecole emesse dagli
organi genitali dei suini (delle scrofe, quindi delle femmine), dette feromoni, che i suini maschi, i verri, riescono a percepire tramite un organo che si
trova in bocca, dietro ai denti incisivi superiori, l’organo vomero-nasale. È
per questo motivo che i suini maschi risultano più capaci ad individuare un tartufo
rispetto alle femmine.
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