LA CUCINA GIAPPONESE: CARNE E VERDURE
CUCINA GIAPPONESE |
A cura di Alberto Castagna |
Come accade in tutti gli arcipelaghi e le isole, anche in Giappone la cucina
è fortemente influenzata dal mare. Basti pensare che il piatto più famoso nel
mondo è il sushi, cioè una composizione a base di pesce e riso. Nonostante il pesce faccia da
indiscusso protagonista della gastronomia dell’arcipelago, è errato pensare che
la carne non abbia il suo peso. Per quanto poco diffusa, per ragioni culturali,
religiose e di struttura del territorio, è comunque presente nell’arte culinaria
giapponese, con piatti di notevole gusto e complessità.
Le verdure, insieme a riso e pesce, costituiscono la base vera della gastronomia
dell’arcipelago. Oltre alla tempura, le verdure in pastella note in tutto il mondo, i giapponesi amano creare zuppe
di verdure, consumarle sottaceto, grigliate in piatti che accompagnano la portata
principale o che sono indiscussi protagonisti del pasto.
Carne
Storicamente, la carne in Giappone non ha avuto mai molta fortuna: bandita prima
dal Buddismo, fu dichiarata fuorilegge anche dallo shogunato, fino al 1868. Non
che ce ne fosse poi così bisogno: il territorio giapponese non è dei più adatti
né per crescere capi di allevamento né per far prosperare pascoli. È stato dopo
la fine della Seconda Guerra Mondiale che la carne ha iniziato ad affermarsi nella
dieta nipponica, divenendo parte integrante dell’alimentazione. L’impiego della
carne spazia dall’agnello all’anatra, dal maiale al manzo; le ricette prevedono
che la carne venga lessata, grigliata, fritta, accompagnata da verdure, da zuppe,
usata come ripieno. A tutt’oggi è un elemento fondamentale della dieta di ogni
giapponese.
Alcune delle ricette più note della gastronomia dell’arcipelago sono a base di
carne, come lo yakitori, che consiste in spiedini di pollo e verdura, e il celebre sukiyaki, piatto con carne di manzo che risale ai tempi in cui la carne era proibita
e i contadini la cucinavano di nascosta, “cotta sul vomere dell’aratro”, traduzione
letterale del nome.
Yakitori
Un kg di sottocoscia di pollo, tagliato in piccoli pezzi (a scelta, si possono
usare in parte anche le ali)
mezza tazza di sakè, mezza tazza di mirin, mezza tazza di salsa shoyu
2 cucchiai di zucchero
cipollotto, tagliato in piccoli pezzi di circa 2 cm (variante con verdura: si
possono aggiungere porri, asparagi, funghi enoki e shiitake)
Per prima cosa è necessario mettere a bagno gli spiedini di legno (con queste
quantità circa 25), per venti minuti, per poi asciugarli.
Sakè, mirin, shoyu e zucchero vanno uniti in un pentolino: appena il composto
raggiunge l’ebollizazione spegnere il fuoco.
I pezzetti di pollo vanno infilati negli spiedini alternandoli con le verdure,
quindi vanno adagiati su una piastra coperta con carta argentata. Vanno grigliati
per circa 8 minuti (2 minuti a lato), rigirandoli e spennellandoli frequentemente
con la salsa.
Il manzo Kobe
Una delle carni più famose al mondo, e forse anche la più costosa. Sul manzo
Kobe circolano da sempre notizie che a volte sanno di leggenda: davvero i rarissimi
capi esistenti vengono dissetati a birra e sakè? Davvero vengono massaggiati ogni
giorno, perché la loro carne sia più morbida? Davvero vengono cresciuti in stalle
con musica di Mozart in filodiffusione?
Intanto, le certezze: questa costosissima carne proviene da pochi, selezionati
capi di Kuroge Wagyu, da Kobe, prefettura di Hyogo (una volta, Tajima). Che la musica rallegri gli animali (esattamente come gli uomini, peraltro),
è cosa certa, anche se non è dato sapere quale sia il compositore preferito di
un manzo, se davvero venga diffusa solo musica di Mozart e in base a quali criteri
sia stata scelta. Il massaggio quotidiano ai capi, con guanto di crine, non è
leggenda metropolitana ma verità: viene effettuato per regalare una diversa consistenza
alla carne e al grasso che, sciogliendosi durante la cottura, conferisce al piatto
un sapore ancora più gustoso. Anche l’alimentazione a base di birra e grano ha
motivazioni tutto sommato logiche: la carne di Kobe è nota per essere estremamente grassa e questo trattamento culinario aiuta.
La vera certezza è, per i pochi che hanno avuto il privilegio di assaggiarla,
che è eccezionalmente buona; per i tanti che non l’hanno assaggiata mai, che è
uno dei piatti più costosi al mondo.
Verdure
Come sempre nella cucina giapponese, anche per quanto riguarda le verdure l’estetica
ha una sua importanza fondamentale, e l’estetica è dovuta principalmente al taglio.
I giapponesi hanno un modo di tagliare le verdure che dipende dalla loro forma:
per quelle lunghe è preferito il taglio diagonale, per quelle tonde a mezzaluna.
Le verdure più amate e diffuse in Giappone sono i cetrioli, quasi uguali a quelli
occidentali ma leggermente più piccoli; la soia, da cui si ricavano il tofu e
la salsa; i fagioli, la varietà azuki si usa per i dolci; i funghi. Discorso a parte meritano le alghe, fondamentali
nella cucina dell’arcipelago: dall’alga nori, indispensabile per il sushi, alla
kombu, che si usa per il brodo, alle varietà wakame, hikiji e arame.
Il daikon è un tubero bianco, che ricorda il ravanello nel sapore, fondamentale per insalate,
ripieni, zuppe, stufati.
Tempura
La verdura in pastella, non è in realtà un’invenzione originale dei giapponesi
ma è stata appresa dai mercanti portoghesi che sbarcarono nell’arcipelago nel
1500. La tempura può essere utilizzata anche con pesce, tofu, molluschi e crostacei.
La pastella si prepara con 150 grammi di farina di riso e 150 grammi di farina,
un pizzico di sale e acqua gelida (o la variante di acqua e birra). Le verdure
tagliate in piccoli pezzi vanno immerse nella pastella e poi nello wok con olio
bollente.
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