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RELIGIONE E DIGIUNO |
A cura di Raffaella di Marzio |
L’assunzione o il rifiuto del cibo hanno un ruolo importante nelle religioni,
tanto che spesso il linguaggio religioso è ricco di metafore alimentari come “nutrimento
dell’anima”, “cibo spirituale”, ecc. Le regole che riguardano il cibo sono anche
legate al concetto di purezza rituale con significati diversi a seconda della
religione a cui ci si riferisce.
Nelle religioni assumono la stessa importanza, e sono chiaramente regolamentate,
sia le regole di alimentazione che le prescrizioni relative al digiuno. Il significato
di quest’ultimo è anche legato a norme che riguardano l’etica e il rapporto con
il prossimo, come se la purificazione personale non potesse essere realizzata
fino in fondo senza la purificazione del modo di relazionarsi con altri individui.
Nel corso dei secoli, tutte le grandi religioni del mondo hanno dedicato particolare
attenzione al rapporto dell'uomo con il suo corpo e, in particolare, alla pratica
del digiuno. Esso può essere inteso in diversi modi: strumento di autocontrollo, precetto
dottrinale, metodo di ascesi, richiamo alla sobrietà, veicolo di elevazione al
trascendente, a seconda dei diversi contesti. Alcuni esempi possono aiutare a
sottolineare l’importanza di questa pratica nell’ambito delle diverse esperienze
religiose.
In una interessante intervista rilasciata all’Osservatore Romano (6 marzo 2009) Padre Theodoro Mascarenhas ha affermato che per i musulmani il motivo del digiuno è l'autocontrollo: “Secondo questa religione monoteista, quando una persona è vinta dai desideri e dalle brame materiali, diventa negligente riguardo al proprio essere spirituale e indifferente agli obblighi imposti dal Creatore. Perciò, per aiutare l'uomo a combattere queste bramosie materiali, l'Onnipotente ha imposto il digiuno come obbligo. Il digiuno durante il mese del Ramadan non è per un'espiazione o un pentimento. Non è neppure una specie di castigo; è, invece, un rito religioso caratterizzato da un proposito positivo”. Esso ha anche una dimensione sociale perché “Con il digiuno la persona può avere una conoscenza migliore dei doni di Dio ricevuti e, così, aprirsi con più compassione e carità verso i disagiati e gli emarginati. Il digiuno include l'astensione, dall'alba al tramonto, da tutti i piaceri carnali come, ad esempio, il cibo e il sesso”.
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Riguardo al buddhismo, invece, Padre Theodoro Mascarenhas afferma che “il digiuno è un modo per esercitare il controllo sul proprio corpo, un mezzo
per ottenere un livello più alto di spiritualità, cioè "svegliarsi", una fase
iniziale di autodisciplina. Buddha stesso aveva digiunato prima di essere "illuminato"
e la sua illuminazione non giunge durante il digiuno ma subito dopo, cioè dopo
averlo interrotto. Questo avviene perché non è il cibo, né l'astensione da esso
che porta alla "liberazione", ma la moderazione.”
Nelle scritture indù, il digiuno (sanskrita upvas) è un grande strumento di autodisciplina che stabilisce un rapporto armonioso
tra il corpo e l'anima, portando l'uomo ad accordarsi con l'assoluto. Secondo
la filosofia indù il cibo significa gratificazione del corpo e, invece, affamare
i sensi vuol dire elevarli alla contemplazione. Attraverso il controllo del corpo
fisico, delle emozioni e della mente, si può arrivare all'obiettivo finale della
conoscenza incondizionata, o liberazione dal ciclo della rinascita, in unione
con il trascendente sia personale, sia impersonale.
Nel Sito Web della scuola ebraica di Torino viene sottolineato come il digiuno abbia una grande importanza, specie
nella festa del Kippur, giorno consacrato al digiuno e ad ottenere da Dio il perdono
per gli errori commessi. Durante il digiuno è vietato mangiare, bere e svolgere
attività come il lavoro. Il digiuno - astinenza totale da cibo e bevande - inizia
qualche attimo prima del tramonto e termina dopo il tramonto successivo, all'apparire
delle prime stelle. È usanza di terminare ogni disputa o litigio alla veglia del
giorno di digiuno. Anche le anime dei morti sono incluse nella comunità dei perdonabili
del Giorno del Pentimento. Oltre al digiuno di Kippùr, l'unico che non abbia attinenza
con eventi storici, molti altri ne sono stati istituiti per ricordare avvenimenti
dolorosi per gli ebrei. Per esempio il digiuno di Ghedalià. Ghedalià, discendente
della Casa di Davide, era stato nominato governatore del Regno di Giuda quando
il primo Tempio di Gerusalemme fu distrutto dai Babilonesi. Egli divenne il simbolo
della speranza per gli ebrei, che vedevano in lui la continuazione del loro stato
e della loro indipendenza. Con l'uccisione di Ghedalià tutte le speranze si spensero
e, da allora, si proclamò un giorno di digiuno per ricordare la tragedia.
Il digiuno è molto importante anche nella tradizione giainista, antica religione o filosofia che non venera divinità definite, basata sugli
insegnamenti di Mahavira (559-527a.C.), un asceta di nobile estrazione che indicava
la via alla perfezione umana sulla base della non violenza. In molte scuole giainiste
i laici digiunano nell’ottavo e nel quattordicesimo giorno di ogni mese lunare.
Per quanto si discuta se questo aspetto fosse originariamente estraneo alla tradizione
giainista, e di origine posteriore, per i laici – e in una certa misura per i
monaci – una serie di pratiche devozionali nei templi ha oggi grande rilievo.
Uno degli aspetti più paradossali della vita spirituale giainista è il samlekhana, un digiuno particolarmente severo, condotto nella meditazione e nella preghiera,
talora protratto fino alla morte, che in tal caso è definita “la morte del saggio”.
In pratica, sono pochi oggi i giainisti che scelgono questa pratica estrema. Il
più noto maestro contemporaneo di origine giainista è Osho Rajneesh (1931-1990).
Il significato del digiuno nel mondo cristiano, e soprattutto nel mondo cattolico, va compreso nel contesto della vita e della prassi penitenziale della Chiesa.
Su questo tema i vescovi hanno emanato documenti ufficiali nei quali si chiarisce
il significato religioso-spirituale sia del digiuno che dell’astinenza. Per esempio,
in una nota dell’episcopato del 1994, i vescovi affermano che queste pratiche
rispondono al bisogno permanente del cristiano di conversione, di richiesta di
perdono per i peccati, di implorazione dell’aiuto divino, di rendimento di grazie
e di lode al Padre. Nella penitenza è coinvolto l’uomo nella sua totalità di corpo
e di spirito: l’uomo che ha un corpo bisognoso di cibo e di riposo e l’uomo che
pensa, progetta e prega; l’uomo che si appropria e si nutre delle cose e l’uomo
che fa dono di esse; l’uomo che tende al possesso e al godimento dei beni e l’uomo
che avverte l’esigenza di solidarietà che lo lega a tutti gli altri uomini. Digiuno
e astinenza non sono forme di disprezzo del corpo, ma strumenti per rinvigorire
lo spirito, rendendolo capace di esaltare, nel sincero dono di sé, la stessa corporeità
della persona.
Il digiuno e l’astinenza rientrano nel vero significato della prassi penitenziale
della Chiesa solo se sono la manifestazione di un’anima autenticamente religiosa,
anzi cristiana. È necessario quindi riscoprire l’identità originaria e lo spirito
autentico del digiuno e precisarne le modalità espressive in riferimento alle
condizioni di vita del nostro tempo. Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza
si applica anche ad altri ambiti della vita e non solo all’ambito dell’alimentazione,
i credenti sono chiamati non solo a coltivare una più grande sobrietà di vita,
ma anche ad attuare un più lucido e coraggioso discernimento nei confronti delle
scelte da fare in alcuni settori della vita. Per esempio alcuni comportamenti
che possono facilmente rendere tutti, in qualche modo, schiavi del superfluo e
persino complici dell’ingiustizia vanno evitati e farlo significa attuare una
forma particolare di digiuno. Alcuni esempi sono:
- il consumo alimentare senza una giusta regola, accompagnato a volte da un intollerabile
spreco di risorse;
- l’uso eccessivo di bevande alcooliche e di fumo;
- la ricerca incessante di cose superflue, accettando acriticamente ogni moda
e ogni sollecitazione della pubblicità commerciale;
- le spese abnormi che talvolta accompagnano le feste popolari e persino alcune
ricorrenze religiose, ecc.
Anche la delicata attenzione agli altri è una caratteristica irrinunciabile del
digiuno cristiano, al punto che esso è sempre stato collegato con la carità: il
frutto economico della privazione del cibo o di altri beni non deve arricchire
colui che digiuna, ma deve servire per aiutare il prossimo bisognoso.
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Bibliografia
Conferenza Episcopale Italiana, Nota pastorale: Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza, delibera n. 60 del 4 ottobre 1994: Astinenza e digiuno (Notiziario della Conferenza
Episcopale Italiana n. 6/1994).
Di Marzio, R. (2009). Religiosità e nuove tecnologie, così lontane così vicine. Dossier allegato a Insegnare Religione, N. 2/2009-2010 Novembre-Dicembre, p. 29-36, Leumann (Torino),: Elledici
Noyer J.C., Il grande libro del digiuno, Edizioni Messaggero Padova, 2009
Introvigne M. e Zoccatelli P. (a cura di), Le religioni in Italia, Elledici - Velar, Leumann (Torino) - Gorle (Bergamo), 2006.
Gandhi M.K., Acotto E., In cammino verso Dio, Mondadori, 2006.
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