Pizza&Spaghetti. Ovvero, la cucina italiana nell’immaginario gastronomico
mondiale. Che, almeno per quanto riguarda questa coppia di lusso, parla campano.
È vero che la pizza non solo è diffusa in tutta Italia, ma si è anche evoluta
in base a condimenti e consistenza dell’impasto, tanto che quella più larga e
sottile è detta romana; è vero che la paternità degli spaghetti viene messa in discussione da una contesa
con la Cina. Ma non c’è dubbio che la pizza (c’a pummarola ‘ncopp o meno) è emblema di Napoli quanto il Vesuvio, quanto il golfo, quanto il sole.
E gli spaghetti rubano la scena allo splendido Totò di “Miseria e nobiltà”; per
quanto ormai siano così internazionali da aver ispirato addirittura una religione
parodistica, il Pastafarianesimo, secondo cui l’universo sarebbe stato creato
dal Flying Spaghetti Monster.
Ma non di sola pasta e pizza è fatta la cucina della Campania, una delle più
allegre, saporite e colorate della nazione. La regione è ricca di prodotti di
eccellenza, basti pensare all’olio evo, alla mozzarella di bufala e non e ai pomodori
che condiscono la Margherita; di ricette straordinarie, dal ragù napoletano all’impepata
di cozze, dal casatiello alla pastiera, dalla caprese ai babà; di vini Docg come
il Greco di Tufo e liquori come il limoncello.
Un universo gastronomico talmente variegato da rischiare di perdere l’orientamento,
anche perché molte ricette e molti prodotti sono, prima ancora che regionali,
tipicamente locali. Tra i derivati del latte, le mozzarelle di bufala, di Battipaglia e non solo, contendono la notorietà a burrielli e burrini, caciocavallo e cacio forte, pecorini e provole, ricotte e scamorze; per quanto riguarda gli insaccati, si spazia tra capicollo e salsiccia col peperoncino detta pezzent, sanguinacci e soppressate, prosciutti e prosciutti affumicati, i salami del casertano, da quello nero alle salamine, le salsicce fresche, di bufala, di sugna, fino alla sorra o tarantiello, il salame a base di ventresca di tonno; e ancora le cervellatine, la gelatina di maiale, il salame di Mugnano. Tra frutta e verdura è un trionfo di colori e sapori, dalle olive nere alle arance di Sorrento, dalle tanti varietà di carciofi, bianchi, rossi, di Castellammare, di Procida, al cavolfiore protagonista dell’insalata di rinforzo, e poi la ciliegia di Siano, i tantissimi tipi di fagioli, i fichi, le castagne e i marroni, le cipolle
e l’aglio, le noci di Sorrento e le nocciole, le mele, dalla renetta all’annurca alla limoncella, e le pere, dalla sorba alla spadona, le pesche e le susine, i pomodori come il San Marzano e le scarole, i friarielli e i peperoncini, i porcini e i tartufi.
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La Campania conta oltre trecento (330 per l'esattezza) prodotti agroalimentari
tradizionali riconosciuti dal ministero per le politiche agricole, che oltre ai
cibi appena elencati comprendono anche tutti i tipi di miele, di olio, i dolci tipici, le lavorazioni con carne, pesce, verdure locali, i
formati di pasta, i pani. Perché va bene la pizza, va bene il calzone, ma qui
si impasta, tantissimo, anche per il pane, basti pensare al pane cafone o dei Camaldoli, per voler citare solo una delle tante forme che arricchisono le tavole regionali.
La pizza napoletana merita un discorso a sé, ricetta di tradizione antica che si rinnova
sempre, anche grazie a nuove leve di pizzaioli che in alcuni casi meritano una
notorietà internazionale. La più tradizionale delle pizze è la marinara: impasto di acqua, farina, sale, lievito, lasciato crescere a lievitazione naturale,
e condimento di aglio, salsa di pomodoro, origano, olio evo. La più amata però
forse è la Margherita, pomodoro, mozzarella di bufala o fior di latte, olio evo e basilico, che per
tradizione deve il suo nome alla regina Margherita di Savoia, in onore della quale
fu creata, tricolore, nel 1889. Detto ciò, sulla pizza, com’è noto, si può mettere
praticamente qualsiasi condimento; non solo sopra, ma anche dentro, perché alcune
varianti hanno il cornicione farcito, ad esempio di ricotta; soprattutto a Napoli
poi è molto amata, come tipico cibo di strada, la pizza a libretto o portafoglio, tradizionalmente margherita, più piccola e ripiegata in quattro. Perché poi
ogni famiglia ha una sua versione casalinga della pizza che riguarda non solo
il condimento ma anche le dimensioni, nel caso delle pizzelle ripiene la farcitura, e stesso discorso vale per il calzone. Che qui si chiama così se è al forno, altrimenti è pizza fritta; da non confondere con i panzarotti, i crocché con le patate, i sciurilli coi fiori di zucca, gli scagliozzi di polenta, le pastecresciute, tutti prodotti di sublime bontà delle friggitorie campane. Come per la pizza,
il calzone ammette ormai qualsiasi ripieno, ma tradizione vorrebbe salumi e ricotta
o mozzarella.
Ma i fritti e i lieviti non riguardano solo il cibo da strada delle friggitorie:
nella cucina campana rappresentano una voce importante, a cominciare dagli antipasti.
Basti pensare alle mozzarelle in carrozza, fette di pane ripiene di mozzarella e alici, passate in farina, nell’uovo e
poi fritte, o ai crostini, alle crocchette di spaghetti o ai già citati panzarotti, che sono un tipico cibo casalingo, alle uova fritte alla napoletana con spaghetti fritti e mozzarella. La ricchezza della cucina
locale è comunque tale che si può andare anche più sul leggero, attingendo dall’inesauribile
fonte di insaccati o dedicandosi al pesce, che trionfa nei secondi ma a inizio
pasto volendo non manca; per quanto riguarda tutte le preparazioni fatte con uova,
comprese le frittate, da quella di cipolle a quella di maccheroni, possono aprire il pasto o venire
servite dopo, come del resto altri fritti a base di pesce o verdure, o varianti
di pizze, pizzelle, pizze ripiene, come la pizza di scarola, o di torte salate, timballi e impasti, e qui il casatiello, rustico pasquale di pasta di pane, formaggio, salame, strutto, uova, fa storia
a sé.
In una regione dal clima tutto sommato caldo ci si aspetterebbe una limitata
diffusione di zuppe e minestre; invece, complici la quantità di verdure, legumi
e di formati di pasta, i primi caldi e i brodi saporiti proprio non mancano. A
cominciare dalla pasta e patate, un classico della cucina centromeridionale che qui viene insaporita anche con
pomodori e grasso di maiale, fino al minestrone, alla pasta e fagioli, alla pasta con fave, con verze, piselli, zucche e zucchine, formaggio e uova; nelle festività
si prepara la tipica “minestra maritata”, una ricetta che prevede gallina, manzo, salame, prosciutto, guanciale, cotenne,
per quanto riguarda la carne, e poi cavolo, cicoria, scarola, pintarelle, fino
a cipolle, carote e sedano per il soffritto; il nome deriverebbe dall’unione fra
carne e verdure. Non mancano naturalmente le zuppe di pesce, come quella che accompagna, ad esempio, i paccheri, e che si realizza con la varietà del pescato locale, oltre alla zuppa di vongole, o a quella di stoccafisso e patate. Anche con le semplici zuppe di verdure si spazia tra cavolfiori e fave fresche,
ceci e fagiolini, fagioli e scarola, scarola e cicoria, lenticchie e pomodoro,
e la particolare zuppa di soffritto, con quinto quarto di maiale, strutto, pomodoro e peperoncino.
Spaghetti, maccheroni, vermicelli, paccheri, ziti: la pasta in Campania non manca,
con una particolare attenzione per quella lunga, senza dimenticare quella ripiena
come i cannelloni e i ravioli, e quella che viene riempita come gli ziti alla casertana, e poi gli gnocchi di patate (strangolaprievete), la polenta, le lasagne, e le preparazioni col riso, come il celebre sartù; fino ad arrivare ai timballi, come quello di maccheroni, alle torte salate di patate, salsicce e mozzarella,
al timpano di scamorza. Di certo non mancano i condimenti, di carne e di pesce. Il famoso
ragù alla napoletana, che esalta paccheri e maccheroni, la marinara, la puttanesca con pomodoro, olive di Gaeta, capperi, i sughi con le alici e le cozze, le vongole,
le polpette, le salsicce: un trionfo di tutto, qualsiasi ingrediente con qualsiasi
formato. Tra i primi più noti, trionfa la genovese, un sugo di carne, pomodoro e cipolla che tradizionalmente viene insaporito
anche per tre giorni in cottura; il sartù di riso, un timballo di riso ripieno con carne di maiale, pollo, polpettine, piselli,
provola; il risotto alla pescatora; gli gnocchi alla sorrentina, cotti nel pignatiello di coccio; gli spaghetti con le vongole o con le cozze; e il trionfo della semplicità e della bontà, gli speghetti con pomodoro fresco
e basilico.
Il capitolo pesce, crostacei e molluschi va aperto con una doverosa citazione
all’impepata di cozze, forse il più noto dei piatti di mare locali, che vede protagoniste cozze, olio
evo, aglio, prezzemolo e, ovviamente, pepe. Il mare ma anche gli spicchi d’acqua
dolce poi provvedono a rifornire i campani di grandi quantità di alici, che possono essere impanate e fritte, “araganate” in forno, marinate o preparate
in tanti altri modi; di merluzzo, baccalà o stoccafisso che sia, di anguilla e
capitone, cefali e orate, cicenielli e sarde alla napoletana, di pesci da cuocere
alla marinara o all’acqua pazza, di frittura di paranza, di crostacei sauté o gratin, e soprattutto polpi, come quelli “alla Luciana”, altra tipica ricetta partenopea, con pomodoro, aglio, prezzemolo e peperoncino.
Per la carne si spazia dalle braciole ripiene alle bistecchine alla pizzaiola (il pomodoro nella cucina campana è una costante con qualsiasi ingrediente),
dall’agnello al capretto, dal lesso al polpettone, dal tipico coniglio all’ischitana al pollo alla cacciatora; fino alla grande, festosa frittura mista di pesce, quinto quarto, verdure, mozzarella.
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A fare da contorno c’è l’incredibile varietà di verdure locali; si passa così
dall’insalata di rinforzo, in cui domina il cavolfiore, ai tipici friarielli locali, che si sposano particolarmente bene con la carne di maiale, tanto che
esiste anche la pizza salsiccia e friarielli; la scarola e le scarolette sono quasi onnipresenti, come le patate, in insalata o in “gattò”; le melanzane possono essere ripiene, a barchetta, o dare vita alla parmigiana, o fatte a funghetti; anche i peperoni possono essere imbottiti o passati in padella con olive e capperi, mentre i
peperoncini vengono fritti; della versatilità del pomodoro si è detto, dall’antipasto con
mozzarella e basilico detto caprese ai sughi dei primi, alla carne alla pizzaiola al pollo alla cacciatora; e poi si possono gustare broccoletti, i tanti tipi di carciofi e legumi, le
zucchine a scapece o anch’esse in parmigiana, la verza imbottita.
Si chiude in bellezza con i dolci, e anche in questo caso la regione non si fa
mancare niente. Qui si spazia dal babà al rum alle sfogliatelle, dalla torta caprese agli struffoli natalizi, dalle zeppole di San Giuseppe alla pastiera pasquale, il dolce napoletano di pasta frolla con ricotta, grano bollito, canditi,
uova e la variante con la crema pasticcera; i mustacciuoli e le carnevalesche chiacchiere, il migliaccio e il torrone; il sanguinaccio dolce e la versione dolce del casatiello.
Tra i vini, i Docg sono Aglianico del Taburno, Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi; sono Doc Aversa, Campi Flegrei, Capri bianco e rosso, Castel San Lorenzo, Cilento, Costa d’Amalfi, Falanghina del Sannio, Falerno del Massico, Galluccio, Irpinia,Ischia, Penisola Sorrentina, Sannio e Vesuvio. Tanti anche i liquori, tra cui spicca il limoncello.
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