In un giallo di Danila Comastri Montanari, “Mors tua”, ambientato nella Roma
dell’imperatore Claudio, in una scena si fronteggiano a tavola due senatori. L’uno,
che rimpiange i tempi e gli usi dell’urbe repubblicana, canta all’altro le lodi
di olive, pane di grano, formaggi e la polenta di farro detta farrata, condita con olio d’oliva: gli ingredienti e i cibi classici della Roma che
conquistò il mondo, contrapposti ai vizi delle tavole dei senatori “moderni”,
imperiali, abituati a mangiare, sdraiati sui triclini, specialità esotiche provenienti
da ogni parte dell’immenso impero romano.
Una storia della cucina romana e laziale che riuscisse a ricostruire davvero
le abitudini alimentari di ogni secolo, testimonierebbe, attraverso cibi e ricette,
l’evolversi della società e del progresso, delle tradizioni e del potere, quanto
un libro di storia classica: dal farro che sfamava i soldati che conquistarono
il mondo, alle opulenze dell’impero ormai sulla strada del declino; dalla miseria
del medioevo, che vide Roma perdere sempre più importanza fino a diventare poco
più di un paese, allo sfarzo del Rinascimento, della Roma papalina, della cucina
ebraica del ghetto, fino ai nostri giorni. E resterebbero pur sempre degli interrogativi:
tra gli appassionati la corretta origine della carbonara ancora è motivo di discussione, e si oscilla, per darle i giusti natali, tra
i carbonari che l’avrebbero inventata durante qualche riunione segreta e gli americani
del dopoguerra, che volevano qualcosa con uova e pancetta.
Quello che è certo è che la cucina laziale non è solo cucina romana, tutt’altro:
tutta la regione gode di una grande ricchezza di tradizioni, di ingredienti tipici,
di raffinatezze. Quanto alla cucina della capitale, viene spesso descritta come
povera, basata su ingredienti popolari come il quinto quarto, pesante per lo strutto utilizzato; ma in realtà si tratta di una tradizione
gastronomica estremamente ricca, che ha saputo valorizzare ingredienti semplici
e più complessi, dal guanciale di Amatrice ai carciofi, che raggiungono vette di pura arte se preparati alla giudia, dai broccoli romaneschi alle puntarelle, alla cicoria, al baccalà, ai pesci di lago, alle olive, oltre alla celebre
pajata, alla trippa, alla coda, all’abbacchio. Tra Bolsena, Bracciano e Vico, e non solo, si pescano anguille e capitoni,
lattarini, persici, tinche, lucci, trote, senza dimenticare che il Lazio affaccia
sul mar Tirreno, quindi le sue risorse ittiche si dividono tra pesci d’acqua dolce
e salata, crostacei e molluschi, e che specialmente nella capitale il pesce d’elezione
resta sempre il merluzzo in versione baccalà.
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Tra i formaggi il principe è il pecorino, e del resto la carne ovina è molto diffusa, ma non mancano caprini, caciotte,
ricotta di vario tipo tra cui la romana, scamorze, mozzarella, la molto simile
provatura, il fior di latte, il fiore molle, il caciofiore, il cacio di Genazzano, il caciocavallo, la caciotta di bufala, il marzolino, lo squarquaglione dei Lepini; di salumi e insaccati ce ne sono a iosa, dal capocollo al prosciutto laziale, dalla porchetta di Ariccia, trionfatrice nelle cosiddette fraschette, alle coppiette, dai “coglioni di mulo” (salami di suino) al guanciale di Amatrice, città che oltre ai celebri bucatini spicca per i cosiddetti gnocchi ricci, e poi lardo, lonza, beverelli, mortadella, pancetta, corallina, il tordo matto di Zagarolo. Tante le verdure tipiche, dai tanti tipi di fagioli alla cicoria, dagli asparagi
agli amatissimi carciofi, a cui è dedicata una delle sagre più frequentate della
regione, quella di Ladispoli, ma anche broccoli, broccoletti, cavoli, aglio rosso,
le zucchine tipiche locali e i peperoni, tartufi, il sedano, “sellero”, indispensabile
per la coda alla vaccinara, l’oliva itrana di Gaeta e tante altre varietà di olive con altrettante varietà di olio, le cicerchie, i lupini detti fusaje, e poi la frutta, dalle albicocche alle mele renette, dalle fragole alle castagne
(mosciarelle comprese).
Tra gli antipasti dominano i fritti, come quelli tipici da pizzeria, e qui va aperta una parentesi: amatissimo il
supplì al telefono, le crocchette di patate, le mozzarelline e i fiori di zucca in pastella, i filetti di baccalà; a proposito di pizza, quella tonda romana è ben diversa dalla napoletana, ha una base sottilissima,
mentre la cosiddetta pizza romana a taglio è bianca e viene spesso servita ripiena; il calzone napoletano è diffuso anche nel Lazio, simile alle pizze fritte del reatino e
di Amatrice che però non hanno ripieno; discorso ancora a parte va fatto per la
stesa, la pizza fritta ciociara. Fritto è anche il pane tipo mozzarella in carrozza, che viene cotto in olio bollente dopo essere stato passato in uovo e farina
e riempito di mozzarella e alici, ma gli antipasti più classici a base di pane
sono la bruschetta, fetta di pane casareccio abbrustolito, strofinato con l’aglio, condito con
sale e pepe nero, e poi con olio evo (gli ingredienti vanno rigorosamente in quest’ordine),
sia la panzanella, in cui alla fetta di pane e sale vanno aggiunti olio e, a seconda della versione
familiare, prezzemolo o basilico, con o senza pomodoro. Non mancano i pesci, dalla
provatura con le alici, alle alici marinate, alle alici con pomodori; fanno storia a sé gli antipasti
tipici di quaresima e Pasqua, in cui oltre ai salumi trionfano le uova, che sono
molto amate anche in frittata, ad esempio con cipolle e guanciale.
Di Pasqua, per passare a zuppe e minestre, è anche il brodetto con manzo, agnello, uova, sedano e carote, erbe e fette di pane. Il Lazio ama
molto le minestre con i legumi, dalla pasta e ceci al riso e lenticchie, alla
pasta e fagioli (cotiche comprese, che in versione “asciutta” fanno un ottimo
contorno); altrimenti ci sono i tipici brodi come la stracciatella, con le uova, la pasta grattata, il farro, l’orzo, e le zuppe di verdure come
bieta e cicoria, oltre al minestrone. Molti di questi piatti, soprattutto quelli a base di legumi, una volta venivano
preparati con lo strutto, protagonista assoluto delle tavole laziali insieme all’olio evo. I brodi di pesce ci sono e tre spiccano sugli altri: zuppa di baccalà, zuppa di mare con tantissimi tipi di pesce, e zuppa di telline. La Tuscia condivide con la Maremma l’amore per l’acquacotta.
Se si passa ai primi asciutti, la triade capitolina classica prevede spaghetti alla carbonara, bucatini all'amatriciana (o "alla matriciana"), tonnarelli cacio e pepe: i primi con uova, pancetta, pecorino, sale e pepe (assolutamente eretica la
versione con la panna); i secondi con pomodoro, pecorino e guanciale (assolutamente
eretica la versione con la cipolla), i terzi con pepe e pecorino romano. Ma non
vanno dimenticati la Gricia, con guanciale, le fettuccine, pasta all’uovo che può essere accompagnata con tanti condimenti, come panna
e prosciutto in quelle alla papalina, ma anche rigaglie di pollo e ragù; i rigatoni, essenziali per apprezzare il vero sugo con la pajata; gli gnocchi, classici o romani, di semolino; le penne all’arrabbiata, le penne o gli spaghetti alla puttanesca, gli spaghetti alla stallina, i ravioli con la ricotta; ma c’è spazio anche per la polenta, molto amata nel Lazio, per formati tipici come la laina ciociara, fatta di farina di grano duro, acqua e sale, le sagne, i maccheroni, diffusi
tra basso Lazio e Campania, gli strozzapreti. Non mancano i primi di pesce, come il riso con le seppie, le trenette al tonno o gli spaghetti alla bucaniera; per finire, gli spaghetti alla marinara, semplicissimi, con aglio, pomodoro, basilico e peperoncino, gareggiano in purezza
e bontà con l’intramontabile classico, gli spaghetti “ajo ojo e peperoncino”.
Tanti pesci di lago, tanti pesci di mare, ma soprattutto, tanto più nell’urbe,
il baccalà. Così amato da assumere nei nomi delle ricette connotazioni di rione, alla monticiana, alla trasteverina, fritto come quello di Campo de’ Fiori, in guazzetto. Nel reatino sono molto diffuse le trote; nelle zone dei laghi, principalmente
Bolsena, Bracciano e Vico, i pesci certo non mancano, e dal mare arrivano palombi,
come quello alla testaccina, sarde, seppie, per quanto il pesce più amato, dopo il baccalà, siano senza
dubbio le alici. Ma a Roma si mangiano anche lumache, soprattutto nella notte di San Giovanni.
Specialità di Gaeta è la tiella, una sfoglia ripiena di “polpitielli”, seppioline, cipolle, scarola, alici e
varianti familiari di ogni tipo.
Per quanto riguarda la carne, specialmente a Pasqua viene fatta inutile strage
di agnelli, nel Lazio chiamati abbacchi, e capretti. L’abbacchio viene mangiato anche durante il resto dell’anno, dalle
braciole alle animelle. Perché quella laziale è una cucina che esalta in particolar
modo il quinto quarto, dalle rigaglie di pollo alle budelline di agnello, dal
fritto misto alla trippa, la coratella (con carciofi), la milza e soprattutto
la coda di bue, protagonista della ricetta della coda alla vaccinara. Dal vitello, e per gli stomaci più forti, dal manzo, vengono le parti per la
pajata, oltre a rognoni e fegato. Non mancano stufati e lombate, i simil involtini
detti saltimbocca (alla romana, appunto) e anche la carne suina va per la maggiore, tra salsicce
con i broccoli e braciole, fornite dai cosiddetti norcini, perché una volta la maggior parte della carne di maiale arrivava in regione
dall’Umbria. Anche il pollame allieta le tavole locali, dal galletto arrosto al
pollo in padella, in spezzatino, all’aceto, con peperoni.
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Tra le verdure, i carciofi sono tra i più amati, al tegame, ripieni, fritti interi
alla giudia in un pentolino d’olio bollente e serviti caldi e croccanti (altro piatto tipico
del ghetto è il tortino di alici e indivia), fatti a spicchi, passati in farina e uova e fritti, con la pancetta. Il broccolo romano è un’altra verdura molto diffusa, così come i broccoletti, cotti con la salsiccia o strascicati, e poi biete, cicoria, sedani, cardi,
fagiolini, pisellini, funghi, spinaci, patate, del viterbese e di Leonessa, e
peperoni, anche ripieni, come le zucchine, che hanno una varietà locale. Storia
a sé la fanno i pomodori ripieni col riso, piatto unico che può sostituire un primo, le lenticchie di Onano, nel viterbese, i fagioli con le cotiche, cioè cotenne di maiale, le puntarelle e la misticanza, un’insalata di tante erbe locali, agretti, rucola, riccetta, indivia, gallinella,
lattughina e altre. Tra erbe e aromi, molto diffuse menta e mentuccia, oltre a
rosmarino, salvia e lauro.
Tra dolci e prodotti da forno, va citato il pane laziale, quello casareccio di Genzano e quello di Lariano, e la pizza di Pasqua, in versione sia dolce sia salata; tra i dolci più amati, i maritozzi con la panna, le frappe e le castagnole a Carnevale, i bignè di San Giuseppe, il pangiallo, la pupazza di Frascati, il pampepato della Sabina e della Ciociaria, il serpentone, gli amaretti, il castagnaccio, le ciambelle di Sora e Zagarolo, i giglietti, i tanti tipi di torrone come le nociate, i tanti dolci ripieni della ricotta locale, dalle crostate ai bocconotti. Si va sul fritto anche con le mele renette in pastella, le frittelle di riso e pasta lievitata, mentre dolce atipico è la grattachecca, simile alla granita.
Il vino dei Castelli è noto anche per i tipici stornelli locali, ma da segnalare
sono tra i bianchi Frascati, Est Est Est, Marino e Romagnano, tra i rossi Cesanese del Piglio (docg come Cannellino e Frascati Superiore), Aleatico, Falerno, Montegiove e Velletri. Tra i liquori, quello di Genziana, il fragolino, il nocino, il mistrà e la sambuca.
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