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LA CUCINOTERAPIA |
A cura di Francesca Soccorsi |
Il cibo è al centro del quotidiano di tutti, sia che lo si viva esclusivamente
come via per soddisfare un bisogno primario dell'organismo, sia che lo si consideri
un imprescindibile rituale di piacere. Tante volte rifugio consolatorio nei momenti
di ansia e solitudine, molte altre nemico da cui fuggire per apparire belle, magre
e desiderabili mettendo a rischio la propria salute. Eppure cucinare, e poi mangiare,
dovrebbero essere per tutti sinonimo di cura, dedizione, socialità, gioco e comunicazione.
Pensando alla tavola come luogo sacro di incontro, gli esperti di Cucinoterapia insegnano a considerare il cibo un nutrimento dell'anima: cucinare permette
di ritrovare se stessi e di relazionarsi con gli altri recuperando fiducia e istinto
alla socialità. La Cooking Therapy, infatti, lavora sul corpo e sulla mente, affinando la percezione di sé e la
gestione dei rapporti interpersonali. Tutto ciò che accade in cucina trasporta
in una dimensione speciale, dove l'atto più ordinario, quotidiano e universale,
ovvero la preparazione del cibo, diventa la meravigliosa e travolgente esperienza di un rito che si rinnova
ogni giorno e che coinvolge la persona nella sua totalità.
Quando si cucina, spalle, mani, polsi, gomiti e collo sono impegnati nella ricerca
di un buon equilibrio generale, dell'energia e della forza muscolare. Tutti i
sensi sono attivati, migliora la capacità di gestione del tempo, si affinano versatilità,
memoria e concentrazione. E, insieme al corpo, viene coinvolta la mente: davanti
ai fornelli rilassamento e quiete prendono il posto dei brutti pensieri.
Non a caso questa disciplina, nata quasi per caso, è diventata nel tempo parte
integrante non solo delle terapie cognitivo-comportamentali, ma anche dei programmi
di recupero gestiti dalle comunità per tossicodipendenti e dalle strutture dedite
all'assistenza di persone con handicap mentale o fisici.
La Cucinoterapia rappresenta, infatti, uno strumento per avvicinare o ritornare
alla normalità della vita quotidiana, oltre che una via per curare in maniera
creativa e non medicalizzata disturbi più o meno gravi legati a stress, angoscia e depressione. L'obiettivo è preparare piatti elaborati, che richiedono tempo, impegno e attenzione
e che, a cottura ultimata, regalano profonda soddisfazione agli occhi e al palato
e, quindi, stimolano a reagire.
Alcuni piatti, in particolare, si rivelano particolarmente efficaci come modulatori
dell'umore: sono le paste fatte in casa e i dolci, perché lavorare con le mani
acqua e farina è un potente antistress (un po' come quando si manipolano le palline
anti-ansia in gomma morbida). E, poi, la lievitazione lenta insegna a ritrovare
la calma, a non spazientirsi per l'attesa e ad amministrare il proprio tempo senza
frenesia. La cucina è anche il luogo ideale per accrescere la propria autostima, imparare a sentirsi autonomi e autosufficienti, scoprire la strada per esprimere
tutta la propria creatività eventualmente repressa, gratificarsi.
Non ci sono limiti di età o preclusioni di sorta, perché cucinare è un'attività
adatta a tutti: fa bene ai singles, dal momento che aiuta a coltivare e a mantenere
vivi i rapporti sociali; fa sentire utili e impegnati gli anziani; giova ai bambini
perché li coinvolge in un'attività familiare permettendo di scaricare le tensioni
che a volte si creano all'interno della casa, con genitori e fratelli. E, per
quanto possa apparire contraddittorio, cucinare serve anche a chi ha l'impulso
incontrollabile di mangiare per colmare vuoti interiori o trovare la forza di
affrontare i problemi: concentrarsi nella preparazione delle pietanze, distoglie,
infatti, dalle preoccupazioni, che sono, poi, il vero motore che attiva l'atto
compulsivo del mangiare. Insomma, la Cucinoterapia ha come presupposto di base
il «Sto male, quindi cucino», che niente ha a che vedere con il «Sto male, quindi
mangio», ma, anzi, ne costituisce l'antidoto. Cucinare è, dunque, un gesto di
generosità prima di tutto rivolto a se stessi, e poi agli altri: creare cibi speciali
per gli amici o i familiari favorisce la condivisione delle esperienze sensoriali
e facilita il contatto e la comunicazione. Se, poi, si cucina in compagnia, i
fornelli diventano uno strumento di dialogo e scambio, a volte anche di confidenza.
Creare un piatto per e con il proprio compagno aumenta anche la complicità di
coppia, tanto che spesso i terapeuti consigliano ai partner di dedicarsi a questa attività:
il cibo, come il sesso, è condivisione e dedizione all'altro.
Preparare da mangiare aiuta, inoltre, ad acquisire consapevolezza e responsabilità
nei confronti dei propri acquisti, a scegliere gli alimenti giusti, controllandone provenienza e ingredienti, a sperimentare prodotti poco
utilizzati, magari cimentandosi in ricette e cotture alternative, ad apprendere il piacere della freschezza e della naturalità
rinunciando ai cibi di massa, industriali o precotti e, quindi, all'omologazione,
che appiattisce e uniforma anche i sentimenti e le sensazioni. E, non ultimo,
come rivelano i dati di uno studio condotto da ricercatori giapponesi della Tohoku
University di Sendai, potenzia le capacità cerebrali: l'esperimento, condotto
con tecniche molto sofisticate tra cui la tomografia ottica, ha evidenziato come
dedicarsi all'arte della cucina richieda il concorso di complesse attività cerebrali
che, se protratte nel tempo, aiutano il cervello a mantenersi giovane, attivo
e vitale e rinvigoriscono le funzioni cognitive. Un corso di cucina seguito per un periodo di tre mesi e per almeno quindici minuti al giorno favorisce
l'attivazione della corteccia prefrontale, aumentando le capacità previsionali
e di calcolo.
Bibliografia
- Schira R., Cucinoterapia. Curare, accudire, amare se stessi e gli altri con il cibo, Salani Editore.
- Schira R., Bay A., L'amore goloso, TEA.
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