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LA DIPENDENZA DAL LAVORO
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A cura della Dott.ssa Monica Monaco |
Il lavoro, infatti, è stato per secoli ritenuto un’attività ignobile, da assegnare principalmente a schiavi e prigionieri mentre, solo le attività di coordinamento e supervisione, venivano esercitate dai rappresentanti delle classi sociali più elevate. In alcune culture, come in quella spagnola, la stessa etimologia della parola “trabajo” nasceva dal termine latino “tripalium”, con cui veniva designato uno strumento di tortura destinato agli schiavi che non producevano.
Nel 1700 il lavoro cominciò a diventare un’attività sempre più diffusa tra i rappresentanti di tutte le classi sociali e gradualmente si avvio un cambiamento nell’immaginario sociale rappresentando il lavoro come un’attività dignitosa e orientata al raggiungimento di un obiettivo, che può essere la realizzazione di un bene o la creazione di un servizio.
Le successive trasformazioni, osservate negli ultimi secoli, hanno visto divenire il lavoro, non solo un’attività necessaria per vivere, in quanto consente l’indipendenza economica, ma anche un mezzo di affermazione nel sociale, che assegna uno status e che riveste il valore di un rituale che contrassegna il vero passaggio all’età adulta.
In seguito a questi cambiamenti, è aumentato il peso dell’identità lavorativa sull’identità personale e ciò ha portato, negli ultimi anni, a dedicare al lavoro sempre maggiori spazi che, spinti all’eccesso, hanno generato ricadute negative sulla vita psico-sociale e sulla salute fisica. Il malessere sociale che nasce dall’eccessivo tempo riservato al lavoro è stato descritto, negli ultimi anni, nei termini di “burnout ”, di “sindrome da stress lavorativo ”, ma soprattutto di “lavoro-dipendenza ” o “work addiction ”.
Lavoro-dipendenza: le cause del piacere del sacrificio
Il cambiamento storico del pensiero sul lavoro oggi ha trasformato il lavoro, soprattutto nel mondo occidentale, in uno strumento essenziale sia per integrarsi ed essere apprezzati a livello sociale che per raggiungere l’indipendenza economica. Ciò ha portato a parlare, sempre più spesso recentemente, della “dipendenza dal lavoro”, che un tempo rappresentava una prerogativa maschile ma che oggi, forse in ragione dell’importanza che il lavoro ha sempre rivestito nella lotta sociale per il riconoscimento dei diritti delle donne, comincia ad estendersi anche a questo sesso.
Il “workaholism”, come è stata anche definita in America questa dipendenza, rifacendosi al termine inglese “alcoholism” con cui si designa la dipendenza da alcool, è un fenomeno moderno e tuttavia descrivibile, come spesso è stato fatto con altre tendenze della vita mentale, attraverso un’immagine mitologica. Riprendendo una leggenda dell’antica Grecia, in questo caso si può definire la lavoro-dipendenza come “sisifopatia”, termine che nasce dalla storia di Sisifo, re di Corinto, che pagò la sua grande avidità per la ricchezza, venendo condannato da Giove, per una delle sue malefatte, a riportare eternamente un enorme pietra in cima ad una montagna, dalla quale puntualmente il macigno ricadeva giù. Come altre delle cosiddette “nuove dipendenze”, come ad esempio lo shopping compulsivo o la teledipendenza, anche la lavoro-dipendenza rappresenta l’esaltazione di un’attività quotidiana diffusa. Essa, più precisamente, si configura come una dipendenza “senza uso di droghe”, legata ad un’attività lecita, condivisa e ormai estremamente apprezzata a livello sociale.
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Una porzione di piacere diretto e immediato , tuttavia, è spesso presente e rappresenta un fattore che consolida l’atteggiamento di completa dedizione al lavoro; esso è frequentemente rappresentato dalla “passione” per l’attività stessa, per un settore o per una disciplina, come accade a certi professionisti che spendono interamente il loro tempo libero in attività legate alla propria professione, come letture e aggiornamenti.
Ma è soprattutto un piacere indiretto che può trasformare anche un’attività che non è gratificante in un’abitudine stabile che può avere effetti, sia sulla vita di chi la perpetua che di chi gli sta intorno.
A questo proposito, lo studio del profilo psicodinamico dei dipendenti dal lavoro ha portato ad isolare le principali motivazioni che possono alimentare, anche intrecciandosi e combinandosi tra loro, una propensione al “lavoro no stop”. Come per altri tipi di comportamento, anche nella propensione all’eccesso di lavoro, si possono rintracciare quattro principali motivazioni al lavoro che, spinte all’estremo, permettono di disegnare il profilo di diversi lavoro-dipendenti:
L’importanza centrale del lavoro nella costruzione dell’identità ha portato anche a parlare di lavoro-dipendenti insicuri , in cui il lavoro, forse anche in seguito al retaggio di esperienze con genitori che tendevano a manifestare apprezzamento e amore solo in seguito a grandi successi, rappresenta un modo per cercare approvazione sociale al fine di aumentare un’autostima bassa o che è sempre stata abituata a nutrirsi di conferme e riconoscimenti solo per meriti come quelli lavorativi. Questo è quello che accade, ad esempio, ad individui che hanno avuto genitori propensi a lodare unicamente i profitti legati allo studio o al lavoro.
Infine, la ricerca delle cause psicologiche che possono dare origine o nutrire il fenomeno della dipendenza lavorativa ha portato a identificare anche la tipologia del lavoratore colpevolizzato che esterna le sue necessità di auto-punirsi attraverso una tendenza a lasciarsi sovraccaricare da “dosi massicce” di lavoro.
Questa classificazione di “tipi di lavoro-dipendenti” deve essere considerata nella consapevolezza che i comportamenti, quindi anche quelli problematici come la dipendenza lavorativa, spesso sono plurimotivati e tendono a soddisfare più bisogni interiori. Di conseguenza, è il gioco di intrecci tra più motivazioni e bisogni che spesso rappresenta il nodo da sciogliere per liberare dalle catene che possono obbligare ad una dipendenza la vita di una persona. L’idea che la dipendenza dal lavoro sia una catena o un limite, tuttavia, non deve far pensare che questo tipo di atteggiamento nei confronti dell’attività lavorativo-professionale sia sempre vissuta con disagio, in quanto spesso il disagio dell’eccesso lavorativo ricade su terze persone vicine o sulla salute fisica della persona che la vive. Un dipendente dal lavoro, inoltre, raramente riconosce di avere un problema da risolvere.
Le conseguenze dell'eccesso di lavoro
Anche nel caso della “work addiction”, come in altre dipendenze da attività svolte in misura diversa quotidianamente, esistono indicatori qualitativi, oltre che quantitativi, a cui fare riferimento per riconoscere il problema e differenziarlo da un periodo transitorio, nonché per individuare una fase acuta o una situazione cronica.
INDICATORI ACUTI DI LAVORODIPENDENZA |
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Quando una dipendenza dal lavoro si cronicizza è, inoltre, possibile osservare anche dei problemi che si sviluppano in fasi avanzate.
PROBLEMI CONNESSI ALLA LAVORODIPENDENZA CRONICA |
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La presenza di periodi nella vita in cui è necessario riservare maggiore spazio all’attività lavorativa non deve far pensare ad una dipendenza lavorativa, così come il semplice piacere nell’esercizio del proprio lavoro o l’ambizione al successo non sono da considerare, se presenti da soli, sintomi di questa problematica. Ciò che consente di parlare di dipendenza lavorativa è l’esclusività del lavoro, oltre che nella vita reale, soprattutto in quella mentale di una persona.
Ciò che contraddistingue psicologicamente un “workaholic” è la mancanza di volontà nel trovare momenti di stacco , la mancanza di segni di sofferenza nel sacrificio al lavoro e la conseguente presenza di un’idea del “vivere per lavorare” che, per una o più ragioni, ha sostituito quella del “lavorare per vivere”, ovvero del “fare anche altre attività oltre che lavorare”.
Nella dipendenza dal lavoro quello che manca è anche il semplice desiderio di fare qualcosa che per il momento non è possibile fare a causa degli impegni lavorativi.
Progressione della sindrome
I comportamenti descritti come sintomi acuti e cronici della “work addiction” consentono, a questo punto, di tracciare un quadro della progressione tipica del fenomeno.
Inizialmente, infatti, la dipendenza dall’attività lavorativa si instaura come un’abitudine all’eccesso di ore dedicate a lavorare. Nella seconda fase sintomatica, generalmente, si cominciano ad evidenziare spesso segni di burnout o della cosiddetta “sindrome da stress lavorativo”, un quadro clinico che può comportare diversi sintomi psichici o fisici, come ansia, vuoti di memoria, astenia, disturbi digestivi, cefalea, disturbi cardiaci, squilibri alimentari e altri ancora. Ma il lavoro-dipendente può continuare a non ascoltare i primi segni di disagio, attribuendoli a problemi fisici o a presunte predisposizioni ereditarie. Il quadro clinico può peggiorare fino all’infarto e all’instaurarsi di problemi di salute seri e cronici.
A questo proposito, in Giappone, è stato osservato un fenomeno medico definito “Karoshi”, che è stato collegato allo stress da lavoro; si tratta della tendenza di numerose persone, sottoposte a condizioni lavorative eccessive o nocive, a sviluppare patologie cerebrovascolari o cardiache gravi; alcune di esse sono decedute anche in modo inaspettato per problematiche di ischemiche o infartuarie.
La medicina giapponese ha riconosciuto nell’eccesso di lavoro la causa fondamentale dello stress che ha generato o aggravato le patologie in questione.
La mancanza delle ore di sonno necessarie per il benessere psicofisico sembra un fattore strettamente connesso all’eccesso lavorativo, che innesca profonde modificazioni nella chimica cerebrale e nel funzionamento della regolazione neurologica di tutte le funzioni vitali, un fattore che dovrebbe fare riflettere sull’assunzione di farmaci o altre sostanze volte a diminuire il sano bisogno di dormire, pur di terminare il proprio lavoro.
Il giusto posto al lavoro
La dipendenza dal lavoro oggi è ancora un fenomeno sottovalutato e poco riconosciuto nell’ambito del disagio psicologico e da ciò ne deriva che essa viene diagnosticata solo quando è associata ad altre problematiche psichiche o fisiche, uno stato di cose che al momento consente spesso una diagnosi in fase avanzata, magari in seguito ad infarti o ad altre gravi malattie, per le quali viene prescritto un assoluto riposo lavorativo. Ma i dipendenti dal lavoro sono attratti dalla loro attività anche in casa o in vacanza e difficilmente riescono ad ammettere di aver un problema che va affrontato seriamente per ridimensionare il loro rapporto con il lavoro.
Poiché spesso i primi a segnalare il disagio sono i familiari, una diagnosi precoce potrebbe iniziare anche nell’ambito del trattamento dei problemi familiari o di coppia, in cui la lavoro-dipendenza può giocare un ruolo negativo decisivo.
Affrontare questo tipo di problema significa ridimensionare i tempi e gli spazi da dedicare alla vita lavorativa, riscoprendo altre attività, spesso meno remunerative, talvolta altrettanto gratificanti, mediante le quali è possibile cominciare a prendersi nuove soddisfazioni e disegnare nuovi obiettivi con altrettanta creatività.
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