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LA DIPENDENZA DALLO SPORT |
A cura della Dott.ssa Monica Monaco |
Dalla sport-mania alla “dipendenza dallo sport”
Quando si parla di dipendenza dallo sport o, come viene definita questa sindrome
a partire dalla terminologia americana, di dipendenza dall’esercizio fisico ci
si riferisce ad una condizione in cui non è presente, né sempre né esclusivamente,
un abuso quantitativo della pratica sportiva, ma in cui esistono dei sintomi simili
a quelli presenti in altri tipi di dipendenze.
Il primo passo per comprendere il fenomeno in questione è, infatti, quello di
non utilizzare tale termine, divenuto ormai popolare, a sproposito per designare
tutti quei casi in cui si pratica eccessivamente lo sport, adottando quindi un
metro puramente quantitativo. In tale prospettiva di valutazione del problema
si inserivano i primi approcci al problema della dipendenza dallo sport derivanti
dalla medicina sportiva che ha affrontato inizialmente il problema secondo la
prospettiva fisiologica.
In tale ottica, la dipendenza dallo sport è stata presentata nei termini della
cosiddetta “overtraining sindrome” (sovrallenamento), ossia come quella condizione
fisiologica di squilibrio che deriva da sforzi fisici intensi e troppo ravvicinati
che non permettono all’organismo un recupero energetico e neurobiologico e quindi
la possibilità di smaltire lo sforzo, ricaricandosi a livello fisico e psicologico
(Cascua S., 2004).
Un punto di vista simile è stato quello che ha preso in considerazione misure
esclusivamente comportamentali, definendo ad esempio “corridori dipendenti” tutti
coloro che seguivano programmi di corsa per cinque giorni a settimana e per un
minimo di quindici ore settimanali, adottando un modello di diagnosi “a cronometro”
(Monaco M., 2006).
La “mania dello sport”, anche questa definizione erroneamente utilizzata come
sinonimo della “dipendenza sportiva”, è una tendenza comportamentale di eccesso
che porta ad uno squilibrio nel rapporto con lo sport, che non sempre coincide
con la manifestazione di un comportamento dai tratti dipendenti. Essa può evolvere
in un abuso protratto della pratica sportiva e generare un over-reaching, cioè
una leggera forma di sovrallenamento che può richiedere per il recupero psicofisico
un riposo di qualche settimana, o perfino portare ad uno stato più stabile di
“sovrallenamento”, in cui si richiedono mesi di recupero e la correzione del programma
quotidiano di attività fisica praticata.
Ma l’exercise dependence o exercise addiction, come viene anche chiamata tale
sintomatologia in lingua inglese, non è sempre un problema quantitativo e certamente
non è soltanto un problema di abuso di sport. Non necessariamente comporta over-training,
perché non sempre la costanza nella pratica sportiva coincide con un’attività
estenuante, e soprattutto si connota per alcune caratteristiche psicologiche distintive.
La frequenza dell’allenamento non rappresenta un buon metro diagnostico dal momento
che non fornisce alcun dato sulle importanti differenze motivazionali, attitudinali
ed emozionali che hanno permesso di distinguere tre tipologie di persone che si
rapportano in modo non equilibrato, talvolta maniacale e intenso, all’attività
sportiva (De La Torre, 1995).
Una prima categoria di “maniaci sportivi” è rappresentata dai cosiddetti “sani
nevrotici”, ossia coloro i quali traggono un positivo miglioramento dalla pratica
sportiva che è accompagnata da un senso di benessere, di realizzazione e di successo.
Altre persone appartengono al gruppo degli “sportivi compulsivi”, in cui l’attività
fisica è un modo come un altro per sostenere una precisa routine che conferisce
un senso di controllo e di superiorità morale.
Infine, ci sono i “dipendenti dallo sport” in cui l’attività fisica ha una funzione
di regolatore dell’umore e di uno squilibrio interno e in cui essa finisce per
dominare in modo crescente l’intera vita.
È solo in quest’ultima condizione che si può parlare di “dipendenza sportiva”
definita primaria se ritenuta indipendente da altre patologie, oppure secondaria,
quando è associata a sintomi di sottostanti disturbi alimentari, in cui l’esercizio
fisico gioca un ruolo fondamentale nel tentativo di controllo del peso e dell’immagine
corporea.
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Recenti studi (Bomber D., Cockerill I.M., Rodgers S., Carroll D., 2003) hanno
consentito di individuare le caratteristiche psicologiche principali che connotano
la dipendenza dallo sport, grazie all’analisi di narrazioni di atleti con tale
problematica. Tali risultati integrano e confermano i criteri diagnostici tradizionali
validi per le dipendenze secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali.
Più precisamente, possono essere isolate quattro dimensioni generali che rappresentano
una spia della dipendenza dall’esercizio fisico (TAB 1). Per poter sostenere che
si è in presenza di questa sindrome non è necessario che i sintomi siano tutti
presenti; alcune caratteristiche associate, infatti, rappresentano tratti indicativi
non sempre attivi in tutti i dipendenti dallo sport.
TAB. 1: LE 4 DIMENSIONI GENERALI DELLA DIPENDENZA DALLO SPORT
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Va sottolineata la frequente presenza di anoressia e bulimia nervosa associate
alla “pratica fisica dipendente” e alimentate dalle stesse motivazioni di controllo
del peso e dell’aspetto fisico che si pongono alla base dell’exercise addiction,
soprattutto nelle donne.
Negli uomini le motivazioni alla base della “dipendenza sportiva”, se legate
al controllo dell’immagine corporea, portano più spesso a mostrare il problema
della cosiddetta “anoressia inversa”, ossia quella paura patologica, tipica di
alcuni bodybuilders, di diventare troppo magri, deboli e sottosviluppati dal punto
di vista muscolare.
Ciò che appare comune è la presenza di un comportamento di iper-controllo dell’alimentazione
associato alla dipendenza da esercizio fisico.
Lo sport come una droga per il cervello
Molti studi hanno cercato di stabilire quali meccanismi neurobiologici sono implicati
nella trasformazione dello sport in un farmaco che può aiutare, in giuste dosi,
a superare disagi psicologici cronicizzati su basi organiche come ansia e depressione,
ma che può anche diventare una droga in grado di produrre piacere, così come veri
e propri sintomi di astinenza fisica.
Quello che sembra chiaro è la grande capacità dello sport di attivare la disponibilità
della “dopamina” e delle cosiddette “beta-endorfine”, sostanze chimiche endogene
del cervello dall’effetto simile agli oppioidi esogeni, come eroina e morfina.
L’ipotesi conseguente è che lo sport, soprattutto quello aerobico, può attivare
la dipendenza in virtù della sua capacità di sostenere l’alta disponibilità di
queste sostanze di cui il cervello legge l’assenza attraverso i sintomi dell’astinenza.
L’intervento qualitativo
Alla luce della descrizione delle caratteristiche qualitative che contraddistinguono
la “dipendenza dallo sport”, è importante comprendere che esistono delle componenti
psicologiche che tendono ad alimentare questo tipo di problematica. Conseguentemente,
l’interruzione della pratica sportiva non rappresenta, di per se stessa, la guarigione
dal problema, di cui vanno ricercate e risolte, se necessario con l’aiuto professionale,
le cause psicologiche sottostanti che potrebbero altrimenti canalizzarsi verso
altri sintomi.
Non è raro infatti, ad esempio, che il tentativo superficiale di interruzione
della dipendenza sportiva in una anoressica che la utilizza per il controllo del
peso, possa aggravare la problematica connessa al controllo del cibo.
È per tale ragione che un intervento qualitativo deve innanzitutto mirare a ridare
il giusto posto al corpo, aiutando a ritrovare il proprio ritmo e le potenzialità
dell’organismo attraverso il recupero del significato più puro dello sport: quello
di permettere la positiva espressione del più profondo e autentico Sé, anche attraverso
la propria immagine esteriore.
BIBLIOGRAFIA
Cambio di stagione, passaggio dall’ora solare a quella legale, sbalzi termici e climatici: sono condizioni che in alcuni soggetti possono creare un vero e proprio disagio. La meteoropatia, infatti, è un complesso di disturbi sia a livello psicologico che fisico, associato ai...
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L'evoluzione della specie umana ha comportato modificazioni anche a livello psicologico. Che cosa è la Psicologia dell'Evoluzione?
L'emozione:il cuore che pulsa, le mani sudate, il respiro affannato, il tremore degli arti che accompagna sensazioni paura.
Ottimismo e pessimismo possono influire sulla salute, sul successo in ambito lavorativo, e nella vita in genere, e in definitiva sul benessere psico-fisico delle persone.