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IL DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITÀ | A cura di Barbara Celani,
Psicologia in Movimento |
Secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM IV – TR), un disturbo di personalità rappresenta un modello di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente
rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo, esordisce nell’adolescenza
o nella prima età adulta e determina disagio o menomazione. I disturbi di personalità
sono stabili nel tempo, causano delle alterazioni globali del comportamento, sono
resistenti al cambiamento e sono stati suddivisi in tre gruppi (cluster A, B,
C):
- Disturbi caratterizzati da comportamento bizzarro (paranoide, schizoide, schizotipico);
- Disturbi caratterizzati da alta emotività (antisociale, borderline, istrionico, narcisistico);
- Disturbi caratterizzati da forte ansia (evitante, dipendente, ossessivo – compulsivo).
I disturbi di personalità del cluster C, che si ipotizza siano caratterizzati
da un pattern d’attaccamento insicuro-ambivalente, sono caratterizzati dal tentativo costante
di evitare invalidazioni e nuove informazioni dall’esterno con effetti limitanti
sul proprio raggio d’azione. (Mikulincer, 1997).
Circa il Disturbo Evitante di Personalità, il DSM-IV-TR elenca i seguenti criteri
per diagnosticarlo:
A. Un quadro pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza, e
ipersensibilità al giudizio negativo, che compare entro la prima età adulta, ed
è presente in una varietà di contesti, come indicato da quattro (o più) dei seguenti
elementi:
1. evita attività lavorative che implicano un significativo contatto interpersonale,
poiché teme di essere criticato, disapprovato, o rifiutato;
2. è riluttante nell’entrare in relazione con persone, a meno che non sia certo
di piacere;
3. è inibito nelle relazioni intime per il timore di essere umiliato o ridicolizzato;
4. si preoccupa di essere criticato o rifiutato in situazioni sociali;
5. è inibito in situazioni interpersonali nuove per sentimenti di inadeguatezza;
6. si vede come socialmente inetto, personalmente non attraente, o inferiore
agli altri;
7. è insolitamente riluttante ad assumere rischi personali o ad ingaggiarsi in
qualsiasi nuova attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante.
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I pazienti evitanti hanno scarsa capacità introspettiva nel riconoscere i propri
stati interni e non hanno criteri interiori con cui giudicare se stessi in modo
positivo; al contrario, confidano unicamente nella percezione dei giudizi degli
altri, ma anche l’interpretazione degli stessi è influenzata da una presunzione
di disapprovazione e critica. Un eventuale rifiuto può essere vissuto come causato
dal proprio scarso valore e percepito dunque come una grande ferita: la prospettiva
del rifiuto è infatti talmente insopportabile, che i pazienti evitanti preferiscono
tenersi a distanza dalle persone, per evitare che confermino le loro ipotesi negative
sulla propria natura, venendo a contatto con la propria personalità. Ne consegue
la tendenza ad evitare e a fuggire i rapporti con gli altri, soprattutto se essi
implicano un certo coinvolgimento emotivo. L’evitamento, se da un lato allevia
stati d’animo negativi legati al timore di sentirsi imbarazzato e umiliato in
presenza di altri, dall’altro conduce all’isolamento, vissuto con tristezza. Il
paziente evitante, infatti, soffre spesso di depressione, che esprime il fallimento
delle strategie di adattamento.
Un problema importante è l’autostima, sottoposta a continui “attacchi”, provenienti
perlopiù dal paziente stesso, ma da lui percepiti come causati dagli altri: ciò
comporta una notevole ansia nelle situazioni sociali, la quale a sua volta, può
far mettere in atto comportamenti non in linea con le possibilità di successo
sociale che inficiano ancora di più il livello di autostima e confermano le convinzioni
negative su se stesso. Nella sfera lavorativa, i pazienti con disturbo evitante
di personalità spesso svolgono in attività subordinate, con poche responsabilità
e si mostrano schivi e spesso compiacenti.
Diagnosi differenziale
I pazienti con disturbo evitante di personalità desiderano le interazioni sociali,
a differenza, ad esempio di quelli con disturbo schizoide di personalità, che vogliono stare da soli: il Disturbo evitante di Personalità nasce come
entità diagnostica proprio quando Millon (1969) lo differenzia dalla personalità
schizoide: dolorosamente inibito nel contatto sociale il primo, distaccato e indifferente
alle relazioni il secondo. Millon (1969) intende per “schizoide” la personalità
caratterizzata da un’intrinseca difficoltà nello stabilire relazioni sociali.
Con “evitante” descrive quelle persone che hanno “sia la capacità sia il desiderio
di relazionarsi socialmente, ma che temono l’umiliazione e il rifiuto e per questo
evitano tali relazioni”.
Gli individui con disturbo evitante di personalità non sono esigenti, irritabili
o imprevedibili come quelli con disturbo borderline o istrionico di personalità. Si presume che il soggetto con disturbo dipendente di personalità
abbia una maggior paura di essere abbandonato o non amato di quello con disturbo
evitante di personalità; tuttavia, il quadro clinico può essere molto simile.
Molti pazienti con disturbo evitante di personalità possono presentare un discreto
funzionamento, a patto che si trovino in un ambiente protetto. Se il loro sistema
di sostegno fallisce, tuttavia, sono soggetti a depressione, ansia e collera.
Un altro disturbo dal quale distinguere il disturbo di personalità evitante è
la fobia sociale, in quanto l'evitamento fobico può presentarsi ma l’evitante
sperimenta un vissuto di ansia generalizzato a tutte le possibilità di relazione
con gli altri a differenza di chi soffre di fobia sociale. Inoltre, i pazienti
evitanti si sentono lontani, estranei, inferiori agli altri, impossibilitati all’interazione
e allo scambio.
Possibilità di intervento
Individuale
Visto che il disagio emerge nella dimensione relazionale, è importante indagare
il livello di compromissione della dimensione socio-affettiva e i relativi vissuti
attuali e pregressi, i rapporti con le figure significative di riferimento, i
processi di socializzazione.
Appare fondamentale comprendere quali sono le parti del Sé vissute come inadeguate
e quindi fonte di vergogna, individuare l’immagine che il soggetto ha di sé, dell’altro,
della relazione e le paure connesse. (Falabella)
Il paziente dovrà innanzitutto essere motivato al cambiamento e dunque riconoscersi
uno stato di sofferenza ed essere intenzionato a comunicarlo e condividerlo. Solo
dopo aver lavorato sulla motivazione si potrà iniziare un lavoro di auto-osservazione,
favorendo le capacità di riconoscere i propri stati d’animo e saperli collegare
alle situazioni. Il comportamento di evitamento nasce come strategia di padroneggiamento
dell’esperienza: è importante che il paziente ne diventi consapevole, affinché
si possano intraprendere strategie più funzionali. Lo psicologo utilizza il colloquio
psicologico con l'intento di riorganizzare i processi funzionali del soggetto,
favorendo un cambiamento nell’auto-percezione del paziente e nel modo di considerare
il proprio sistema relazionale.
Un aspetto comune nella relazione terapeutica con pazienti evitanti è proprio
la loro ansia di non essere approvati, ben considerati dal professionista e ciò
può portare a vivere come critico qualsiasi intervento dello stesso. Dunque può
non essere facile stabilire una buona alleanza terapeutica con il paziente evitante,
presupposto fondamentale di qualsiasi trattamento psicologico. Quando questo avviene,
invece, si è già vicini all’obiettivo finale che è appunto sperimentare l’accettazione
da parte dell’altro, la fiducia, la possibilità di ricevere contenimento e accettazione
anche delle proprie paure del rifiuto. Gradualmente il professionista può proporre
compiti legati all’affrontare le situazioni temute, valutando le effettive possibilità
di successo del paziente affinché non si rischi un’esposizione prematura che genererebbe
un fallimento.
Il disturbo evitante di personalità risponde abbastanza bene alla terapia cognitivo-comportamentale
a medio-lungo termine (1 - 2 anni).
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Bibliografia
- American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition, Text Revision. Edizione Italiana: Masson, Milano.
- Falabella M. ABC della psicopatologia
- Millon, T. (1969) Modern psychopathology: a biosocial approach to maladaptive learning and functioning, WB Saunders, Philadelphia.
- Mikulincer, M. (1997) Adult attachment style and information processing: individual differences in
curiosity and cognitive closure, in “Journal of Personality and Social Psychology”.
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