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PSICOLOGIA DELLE PARAFILIE | A cura di Monica Barassi, Psicologia in Movimento |
Parafilie
L’evoluzione della definizione di attività sessuale perversa o parafilie rivela quanto la nosografia psichiatrica rifletta la società che la esprime.
Nel contesto di una cultura che considerava la sessualità in termini relativamente
ristretti, Freud (1905) definì l’attività sessuale perversa secondo diversi criteri:
1) focalizzata su regioni del corpo non genitali;
2) soppianta e sostituisce l’abituale pratica di rapporti genitali con un partner
dell’altro sesso;
3) tende ad essere la pratica esclusiva dell’individuo.
Dal primo scritto di Freud, gli atteggiamenti culturali relativi alla sessualità sono radicalmente cambiati. È emerso che le coppie normali hanno una varietà di comportamenti sessuali. I rapporti orali-genitali, sono stati accettati come comportamento sessuale sano. L’omosessualità e la penetrazione anale sono state rimosse dalla lista delle attività perverse.
Secondo la McDougall (1986) fantasie perverse si riscontrano in tutto il comportamento
sessuale adulto, ma causano pochi problemi in quanto non vengono esperite come
compulsive. Ha inoltre suggerito di utilizzare il termine neosessualità per indicare le parafilie. Infatti, l’autrice propone di non utilizzare termini
intrisi di toni moralistici e peggiorativi e di spostare, così, il focus e la
riflessione sulla natura innovativa della pratica e l’intenso investimento dell’individuo
nel suo conseguimento.
Lo studioso Stoller (1975, 1985) ha invocato una definizione più ristretta di
perversione sessuale. Riferendosi alla perversione come alla forma erotica dell’odio ha asserito che la crudeltà, il desiderio di umiliare e di degradare il partner
sessuale, e anche se stessi, sono i determinanti cruciali per classificare un
comportamento perverso. Secondo questa prospettiva, l’intenzione dell’individuo
è una variabile critica nel definire la perversione. Un individuo viene definito
perverso, solo quando l’atto erotico viene utilizzato per evitare una relazione
a lungo termine, emotivamente intima con un’altra persona.
La definizione delle parafilie del DSM-IV (American Psychiatric Association,
1994), nel tentativo di essere non giudicante, ha suggerito la restrizione del
termine alle situazioni in cui vengono utilizzati oggetti non umani, vengono inflitti
a sé o al proprio partner un effettivo dolore o umiliazione, o vengono coinvolti
bambini o adulti non consenzienti. Per considerare il continuum fra fantasia e
azione, il DSM-IV ha elaborato uno spettro di gravità. Nelle forme lievi, i pazienti sono turbati dalle loro spinte sessuali parafiliache, ma non le
mettono in atto.
Nelle condizioni di gravità moderata, i pazienti traducono la spinta in azione, ma solo occasionalmente. Nei casi
gravi, i pazienti mettono ripetutamente in atto le loro spinte parafiliache.
Comprensione psicodinamica delle parafilie
L’eziologia delle parafilie rimane in gran parte piena di mistero. Nonostante
alcuni studi abbiano suggerito che fattori biologici contribuiscano alla patogenesi
delle perversioni, i dati sono lungi dall’essere definitivi. Anche se sono presenti
fattori biologici, sono ovviamente ragioni psicologiche che giocano un ruolo nel
determinare la scelta della parafilia e il significato sottostante agli atti sessuali.
La visione classica delle perversioni, secondo la teoria pulsionale di Freud (1905)
riteneva che in questi disturbi “l’istinto” e “l’oggetto” fossero separati l’uno
dall’altro. Scrive Freud che “la pulsione sessuale probabilmente è in un primo tempo indipendente dal proprio
oggetto”. Secondo il padre della psicoanalisi, nelle perversioni, le fantasie diventano
coscienti e vengono espresse direttamente come piacevoli attività egosintoniche.
Secondo Fenichel (1945) il fattore decisivo che impedisce il raggiungimento dell’orgasmo
attraverso il rapporto genitale convenzionale è l’angoscia di castrazione. Le
perversioni, secondo questa visione classica, assolvono, quindi, la funzione di
negare la castrazione. Secondo lo studioso Stoller (1975, 1985) l’essenza della
perversione è la conversione “di un trauma infantile in un trionfo adulto”. I pazienti sono spinti dalle loro fantasie di vendicare umilianti traumi infantili
causati dai genitori. Il loro metodo di vendetta è di umiliare o disumanizzare
il partner durante la fantasia o l’atto perverso. Secondo Michell (1988) l’attività
sessuale perversa può anche essere una fuga dalla relazionalità oggettuale. Molte
persone che soffrono di parafilie si sono separate e individualizzate in maniera
incompleta dalle loro rappresentazioni intrapsichiche della madre. Il risultato
è che sentono che la loro identità come persone separate viene costantemente minacciata
da una fusione da parte di oggetti interni o esterni. L’espressione sessuale può
essere l’unica area nella quale riescono ad affermare la loro indipendenza. La
McDougall (1986), che come sopracitato, propone l’utilizzo del termine neosessualità, suggerisce che il comportamento sessuale evolve da una complicata matrice di
identificazioni e controidentificazioni con i genitori. Ciascun bambino è coinvolto
in un teatro psicologico inconscio che sorge dai desideri e conflitti erotici
inconsci dei genitori. Per cui la natura obbligatoria di ogni neosessualità è programmata da copioni genitoriali interiorizzati dal bambino. Infine, secondo
l’autrice, certe pratiche ed oggetti sessuali diventano come una droga che il
paziente usa per curare un senso di morte interno e una paura di disintegrazione
del Sé. Per Kohut (1971, 1977), l’attività perversa comprende un tentativo disperato
di ristabilire l’integrità e la coesione del Sé in assenza di risposte empatiche
da oggetto-Sé da parte degli altri. L’attività o fantasia sessuale può aiutare
il paziente a sentirsi vivo ed integro quando minacciato dall’abbandono o dalla
separazione. Un comportamento perverso in terapia può essere una reazione a fallimenti
di empatia da parte del terapeuta, che portano ad un temporaneo scompiglio nella
matrice Sé/oggetto-Sé. Per quanto concerne, nello specifico, lo studio delle perversioni
femminili, la Kaplan (1991) sottolinea che esse implicano dinamiche più sottili
rispetto alla sessualità più prevedibile delle perversioni maschili. Delle attività
sessuali che derivano dalle parafilie femminili fanno parte le tematiche della
separazione, dell’abbandono e della perdita. Concludendo, prima di prendere in
esame le dinamiche di ciascuna parafilia, dobbiamo ricordare che la preferenza
individuale di una fantasia perversa piuttosto che di un’altra rimangono oscure.
Pertanto, la comprensione psicodinamica di un paziente coinvolto in un’attività
sessuale perversa implica una comprensione esauriente del modo in cui la perversione
interagisce con la sottostante struttura caratterologica del paziente.
Esibizionismo e voyeurismo
Esponendo pubblicamente i propri genitali alle donne e alle bambine sconosciute,
l’esibizionista si rassicura di non essere castrato (Freud, 1905 – Fenichel 1945). Le reazioni
di shock che queste azioni provocano lo aiuta a fronteggiare l’angoscia di castrazione
e gli dà un senso di potere sul sesso opposto. Lo studioso Stoller (1985) ha messo
in evidenza che le azioni esibizionistiche tipicamente fanno seguito a una situazione
nella quale il responsabile si è sentito umiliato, spesso da parte di una donna.
Inoltre, l’atto di mostrare i suoi genitali permette all’uomo di riguadagnare
un qualche senso di valore e di identità maschile positiva. Spesso questi uomini
rivelano una profonda insicurezza rispetto al loro senso di mascolinità. Secondo
Mitchell (1988) gli esibizionisti spesso sentono di non aver avuto nessun impatto
su nessuna persona della propria famiglia hanno pertanto dovuto ricorrere a misure
straordinarie per essere notati. Anche l’altra faccia dell’esibizionismo, il voyeurismo, comporta la violazione del privato di una donna sconosciuta, un trionfo aggressivo,
ma segreto sul sesso femminile. Fenichel (1945) ha associato le tendenze voyeuristiche
a una fissazione alla scena primaria infantile, nella quale il bambino assiste
o ode a un rapporto sessuale tra i genitori. Questa precoce esperienza traumatica
potrebbe stimolare l’angoscia di castrazione del bambino e portarlo poi, una volta
adulto, a rimettere in atto la scena più e più volte nel tentativo di padroneggiare
attivamente un trauma vissuto passivamente. Infine, lo studioso identificò anche
una componente aggressiva nel guardare, concettualizzandola come uno spostamento
del desiderio di essere direttamente distruttivo verso le donne, al fine di evitare
sentimenti di colpa.
Sadismo e masochismo
Il sadismo e il masochismo, sono le uniche parafilie che si riscontrano regolarmente
nei due sessi. I pazienti afferenti da sadismo, stanno spesso inconsciamente tentano di capovolgere scenari infantili nei quali
sono stati vittime di abuso fisico o sessuale. Infliggendo ad altri quello che
accadde a loro quand’erano bambini, ottengono al medesimo tempo vendetta e un
senso di padronanza sulle esperienze infantili di abuso (Fenichel 1945). In termini
relazionali, secondo Michell (1988), il sadismo spesso si sviluppa da una particolare
relazione interna nella quale l’oggetto rifiutante e distante necessita di uno
sforzo energico per superare la propria resistenza rispetto alla propria rappresentazione
del Sé. Anche i pazienti masochisti, che hanno bisogno di umiliazioni e addirittura di dolore per raggiungere il
piacere sessuale, possono star ripetendo delle esperienze infantili di abuso.
Secondo Fenichel (1945), i pazienti masochisti possono essere fortemente convinti
di meritare delle punizioni per i loro desideri sadici conflittuali e che l’accettazione
di un atto sadico è un “male minore” rispetto alla loro paura di castrazione.
Secondo la corrente della Psicologia del Sé, il comportamento masochista può essere
esperito dal paziente come capace di ristrutturare il Sé. A tal proposito, una
paziente masochista scrisse al proprio terapeuta “il dolore fisico è meglio della morte spirituale”. Infine, secondo Mitchell (1988) la resa masochista è la messa in atto di una
relazione d’oggetto interna nella quale l’oggetto risponderà al Sé solo quando
viene umiliato.
Feticismo
Per raggiungere l’eccitamento sessuale, i feticisti hanno bisogno di usare un
oggetto inanimato, spesso un articolo di biancheria intima femminile, o una scarpa,
oppure una parte non genitale del corpo. Freud originariamente spiegò il feticismo
come derivato dall’angoscia di castrazione. L’oggetto scelto come feticcio rappresenta
il pene femminile, uno spostamento che aiuta i feticisti a superare l’angoscia di castrazione.
Seguendo la premessa secondo la quale la consapevolezza maschile dei genitali
femminili accresce la paura dell’uomo di perdere i suoi stessi genitali e di diventare
come una donna, Freud pensò che questa simbolizzazione inconscia spiegasse la
presenza relativamente comune del feticismo. Il fondatore della psicoanalisi utilizzò
questa formulazione per sviluppare il suo concetto di scissione dell’io (1938):
nella mente del feticista coesistono due idee contraddittorie: la negazione della
castrazione e l’affermazione della castrazione. Il feticcio le rappresenta entrambe.
Secondo la studiosa Greenacre (1979) il feticismo deriva da gravi problemi nella
relazione madre-bambino: il bambino non può essere consolato dalla madre o da
oggetti transazionali. Per esperire un’integrità corporea, il bambino ha bisogno
pertanto di un feticcio, un oggetto rassicurante, duro, inflessibile, immutabile
e duraturo. Questi precoci disturbi pregenitali vengono in seguito riattivati
quando il maschio bambino o adulto è preoccupato riguardo all’integrità genitale.
In sostanza la Greenacre ha visto il feticcio operante come un oggetto transizionale.
Anche, lo studioso Kohut (1977), ha sostenuto una visione abbastanza simile del
feticismo, sebbene espressa in termini di Psicologia del Sé. Secondo la sua visione,
il feticista, in contrasto con i sentimenti di impotenza nei riguardi della madre,
può avere un controllo completo sulla versione non umana dell’oggetto-Sé. Pertanto,
quello che appare come un intenso bisogno sessuale di un oggetto narcisistico
può in realtà riflettere una grave ansia riguardo alla perdita del proprio senso
di Sé (Mitchell, 1988).
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Pedofilia
Secondo la visione classica (Fenichel, 1945; Freud, 1905), la pedofilia rappresenta una scelta oggettuale narcisistica; questo significa che il pedofilo
vede il bambino come un’immagine che rappresenta se stesso. I pedofili venivano
anche considerati come individui impotenti e deboli che cercano i bambini come
oggetti sessuali in quanto ponevano minori resistenze o creavano minore ansia
dei partner adulti, permettendo così ai pedofili di evitare l’angoscia di castrazione.
Nella pratica clinica si riscontra come l’attività sessuale con bambini prepuberi
può puntellare la fragile stima di Sé. D’altra parte, il pedofilo spesso idealizza
i bambini: l’attività sessuale con loro comporta la fantasia inconscia di fusione
con un oggetto ideale o di ristrutturazione di un Sé giovane, idealizzato. A un
livello più profondo, l’unione con un bambino rappresenta il desiderio di incorporare
il seno della madre e pertanto di compensare l’effettiva assenza di cure materne
nella prima infanzia. Inoltre, i pedofili sono frequentemente stati vittime di
abusi sessuali infantili. Dinamiche sadiche e un senso di trionfo e di potere
può accompagnare la trasformazione di un trauma passivo in una vittimizzazione
perpetrata attivamente.
Concludendo, anche il potere e l’aggressività sono preoccupazioni importanti
nei pedofili la cui attività sessuale è limitata a relazioni incestuose con i
propri figli o figliastri. Questi uomini spesso non si sentono amati dalle loro
mogli, e sollecitano delle risposte di protezione da parte dei figli presentando
se stessi come vittime. L’altra faccia del loro autopresentarsi come martiri è,
tuttavia, un senso di controllo e di potere sul proprio partner sessuale. Questi
padri incestuosi covano una straordinaria aggressività verso la donna, e pensano
spesso al loro pene come a un’arma da utilizzare in atti di vendetta contro la
donna.
Travestitismo
In questa comune parafilia, il paziente maschio si veste da donna per creare
in sé un eccitamento sessuale che porta a un rapporto sessuale eterosessuale o
alla masturbazione. Il paziente si comporta in maniera tradizionalmente maschile quando è vestito
da uomo, ma diventa effeminato quando è vestito da donna. La classica comprensione
psicoanalitica del travestirsi da donna comporta la nozione di madre fallica.
Immaginando che la madre possieda un pene, anche se questo non è chiaramente visibile,
il bambino maschio supera la sua angoscia di castrazione. L’atto di travestirsi
da donna può pertanto essere un’identificazione con la madre fallica (Fenichel,
1945).
A livello più primitivo, il bambino piccolo può identificarsi con la madre per
evitare l’ansia relativa alla separazione. La sua consapevolezza delle differenze
sessuali tra lui e la madre può attivare l’ansia di perderla perché essi sono
persone separate.
Approcci terapeutici
I pazienti affetti da parafilie sono notoriamente difficili da trattare. La maggior
parte dei parafiliaci sono poco interessati a rinunciare alle proprie perversioni,
vissute come spesso come egosintoniche e fonte di piacere. La maggior parte dei
pazienti va in terapia a seguito di pressioni esercitate da altri (es. crisi coniugale,
causa giudiziaria etc etc) e possono cercare di dare un’immagine di sé distorta
per ottenere dei vantaggi secondari. A volte i pazienti parafiliaci presentano,
anche un disturbo di personalità (es. antisociale, borderline, narcisista) e necessitano
di trattamenti terapeutici integrati accuratamente personalizzati.
Psicoterapia individuale
La psicoterapia individuale espressivo-supportiva con enfasi espressiva è spesso
il metodo preferito di trattamento, ma le aspettative di un terapeuta devono però
essere modeste. Anche se diversi pazienti potranno migliorare in termini di relazionalità
oggettuale e funzionamento dell’Io, le tendenze perverse sono meno facilmente
modificabili. In genere, gli individui con organizzazione del carattere di più
alto livello hanno un esito migliore di quelli con organizzazione borderline.
Inoltre, la prognosi è più favorevole, allorché i pazienti posseggano una mentalità
psicologica, abbiano un qualche grado di motivazione, provino un certo disagio
per i loro sintomi e siano curiosi riguardo alle origini di tali sintomi. Tipicamente,
il trattamento dei pazienti parafiliaci presenta alcuni problemi. Nello specifico:
il diniego del disturbo, ovvero i pazienti raramente desiderano focalizzarsi sulla perversione, il terapeuta
deve integrare il comportamento parafiliaco con il settore centrale del funzionamento
della personalità del paziente per permettergli di affrontarlo; l’importanza da
parte del terapeuta di non assumere un atteggiamento punitivo verso il paziente: il comportamento perverso facilmente evoca nei terapeuti
delle risposte di forte disapprovazione che ostacolano l’alleanza terapeutica
e lo svolgimento del trattamento. Compiti prioritari del terapeuta per il trattamento
delle parafilie sono: cercare insieme al paziente i significati inconsci del sintomo
e la sua funzione all’interno della personalità dell’individuo e spiegare le connessioni
del sintomo con gli altri stati emotivi e gli eventi della vita che possono accrescere
il bisogno del sintomo. Concludendo, nessuna terapia presa singolarmente è efficace
per tutte le parafilie, sono assolutamente necessari approcci individualizzati,
nel corso dei quali il paziente deve arrivare ad accettare completamente la responsabilità
delle proprie azioni e dei danni causati conseguentemente ai comportamenti patologici.
Terapia coniugale
La terapia della coppia può essere cruciale per il successo del trattamento delle
parafilie. Aiuta a delineare come l’attività perversa rifletta difficoltà sessuali
ed emotive nella diade coniugale. Può anche alleviare nella moglie gli infondati
sentimenti di colpa e responsabilità circa i comportamenti del coniuge e farla
sentire partecipe alla risoluzione del comportamento del marito. L’esplorazione
del disaccordo coniugale può anche rivelare che la parafilia è un contenitore
o un capro espiatorio che sposta l’attenzione da uno o più aree problematiche del matrimonio.
Terapia della famiglia
La terapia della famiglia è soprattutto indicata nei casi di pedofilia che si
verificano nel contesto di un incesto. Il terapeuta che si accosta a questo tipo
di patologia familiare cercando di punire i colpevoli incontrerà una resistenza
massiccia: i membri della famiglia “faranno quadrato” per escludere l’azione del
terapeuta come fosse un aggressore esterno che va ad alterare precari equilibri omeostatici esistenti nel nucleo familiare.
Il terapeuta, deve invece, riconoscere e rispettare la fedeltà e la protezione
della vittima nei confronti del padre incestuoso. È importante che il terapeuta
focalizzi l’attenzione sul desiderio del padre di relazionalità e vicinanza emotiva,
piuttosto che sulla sessualità o perversione sul minore. E infine, il terapeuta
deve prendere in esame con empatia l’impoverimento delle risorse emotive della
madre, che pure collude inconsciamente al perpetuarsi della dinamica familiare
incestuosa.
Trattamento ospedaliero
Il trattamento ospedaliero è indicato soprattutto per i pedofili, ma anche per
gli esibizionisti, incapaci di controllare il proprio comportamento se trattati
in modo ambulatoriale. Tuttavia, molti pazienti e specie i pedofili, per evitare
di doversi confrontare in merito alla propria perversione con gli altri durante
le riunioni di gruppo possono: ammaliare gli altri pazienti per bloccare le risposte
di feedback che vengono invece date agli altri pazienti; mentire sul proprio comportamento
e, infine, fingere di seguire effettivamente il trattamento.
Psicoterapia di gruppo
La psicoterapia di gruppo è indicata soprattutto per i pazienti affetti da voyeurismo ed esibizionismo.
L’esperienza del gruppo fornisce un misto di sostegno e di confronto con altri
aggressori che hanno intima familiarità con il problema del paziente.
Farmacoterapia
I farmaci antiandrogeni, come il ciproterone acetato (CPA) e il medrossiprogesterone
acetato (MPA, Depo-Provera), rappresentano comuni strumenti terapeutici. Ma il
loro utilizzo è comunque limitato a causa di effetti collaterali sulla salute
del paziente. Infine, è notevolissimo il problema della bassa compliance dei prodotti e il fatto che non risolvano la deviazione in sé. Se il farmaco
viene interrotto, infatti, il comportamento deviante riappare.
Bibliografia
- Quick Reference to the Diagnostic Criteria from DSM-IV by American Psychiatric Association, Washington D.C., 1994-1995.
- Gabbard Glen O. (2000), Psychodynamic Psychiatry in Clinical Practice, American Psychiatry Press, Inc.(trad. it. Psichiatria psicodinamica, Raffaello
Cortina Editore, Milano, 2002).
- Simonelli C. (1996), Diagnosi e trattamento delle disfunzioni sessuali, Franco Angeli, Milano.
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