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SOPRAVVIVERE AL TUMORE |
a cura della Dott.ssa Veronica Tancredi |
La patologia cancerosa, ancora oggi, viene valutata come la più drammatica e problematica delle malattie.
A partire dal momento della comunicazione della diagnosi e durante tutto l’iter
terapeutico, la persona affetta da tumore alterna momenti di disperazione a momenti
di speranza. Ma anche quando ad un paziente viene comunicata la risoluzione della
malattia, non si pensi che tutti i problemi possano improvvisamente scomparire
insieme alla causa prima che li ha generati. Sempre più spesso, infatti, si sente
parlare delle problematiche psicologiche dei long-survivors (lungo-sopravviventi). L’American Cancer Society chiama paziente sopravvivente
“colui o colei che è vivo dopo cinque anni dalla diagnosi”, per gli epidemiologi
la sopravvivenza corrisponde all’intervallo di tempo tra la diagnosi e la morte.
W. Niederland nel 1968 cominciò a parlare della “Sindrome del Sopravvissuto”,
in riferimento agli studi effettuati sui sopravvissuti all’Olocausto.
Niederland si riferisce alla Sindrome del Sopravvissuto quando sono presenti
le seguenti manifestazioni cliniche:
• Ansia;
• Disturbi della sfera cognitiva e della memoria;
• Stati depressivi cronici;
• Tendenza all’isolamento, ritiro e meditazione in solitudine;
• Quadri psicotici e simil-psicotici;
• Alterazioni dell’identità personale;
• Condizioni psicosomatiche.
Lavorando con i pazienti oncologici che hanno “superato la malattia”, ci si trova
di fronte a situazioni cliniche sovrapponibili alla Sindrome del Sopravvissuto
appena citata.
Nel lungo-sopravvivente che ha superato la malattia sono spesso presenti:
• Ansia (legata alla paura che ritorni la malattia);
• Stati depressivi cronici (legati al senso di colpa);
• Disturbi della memoria;
• Sintomi post-traumatici da stress;
• Difficoltà relazionali e sociali.
La Psiconcologia, come ambito di studio e a livello applicativo, si occupa del paziente il cui
disagio psicologico non dipende primariamente da un disturbo psicopatologico ma
è generato dalla situazione traumatizzante della malattia; per questo motivo i
suoi “riferimenti di fondo sono:
• Il concetto di crisi (del paziente, ma anche dei familiari), considerato come momento di cambiamento,
nell’ambito del quale si distinguono tre fasi: la consapevolezza della propria
vulnerabilità e quindi l’esplicitazione di una richiesta di aiuto significativa
del fatto che le circostanze oltrepassano le capacità di autogestione del problema;
la mobilitazione della rete sociale prossima (familiari, curanti,etc.); lo sviluppo
di un nuovo equilibrio attraverso l’individuazione di soluzioni adattive e l’accettazione
del cambiamento.
• Il concetto di “strategia di adattamento” o coping, ovvero lo studio delle strategie che un soggetto sviluppa per gestire o diminuire
l’impatto di un evento che costituisce una minaccia per il suo benessere fisico
e/o psichico. Il coping dipende dalla valutazione a livello razionale dell’evento
e dalle risorse psicologiche disponibili (resilienza), dal comportamento che il paziente adotta per far fronte al problema sia in
termini di intervento (attivo) che di evitamento (passivo), del tipo di controllo
emotivo utilizzato.
• Il concetto di “adattamento psicologico plurifattoriale”, proposto dall’affine psicologia della salute secondo cui ad un’adeguata gestione
della malattia concorrono sia le caratteristiche individuali relativamente stabili
del soggetto (eventi di vita, status sociale, costituzione biologica, caratteristiche
di personalità, etc.), sia altre variabili capaci di influire rispetto all’adattamento
globale del soggetto alla malattia medesima; valuta inoltre l’influenza esercitata
da fattori esterni quali l’organizzazione delle cure e le tecniche terapeutiche
utilizzate.
In particolare l’approccio cognitivo-comportamentale ha avuto un notevole sviluppo
in questo ambito a partire dagli anni Ottanta.
Secondo il classico modello cognitivo-comportamentale, il nodo centrale dell’intervento
è rappresentato dal lavoro della coppia paziente-terapeuta sulle convinzioni (pensieri
automatici) che la persona ha rispetto a sé e al proprio contesto e sui problemi
che tali convinzioni determinano nell’esistenza. L’esame delle convinzioni si
associa alla verifica di come queste siano strettamente associate a (e responsabili
di) diversi stati emozionali (ad esempio, ansia, preoccupazione, demoralizzazione,
disperazione, rabbia).
La struttura della terapia prevede quindi un ruolo direttivo e pedagogico del
terapeuta che aiuta il paziente ad esaminare i pensieri disfunzionali che ha nel
corso della giornata, ad inserirli nel contesto (dove, quando, con chi), a cogliere
le emozioni secondarie a tali pensieri e, nel corso della terapia, a modificare
i pensieri stessi, contrastandoli con pensieri e ipotesi esplicative alternative
e più realistiche. Possono essere impiegati e consigliati interventi pratici ("compiti
a casa"), quali tenere un diario giornaliero dei pensieri, che permetta alla persona
di capire come sia facile cadere nelle trappole cognitive della generalizzazione,
dell’inferenza arbitraria, della astrazione selettiva. Nei diversi studi condotti
in questo senso è stato segnalato come i pazienti che prendono parte ai programmi
di terapia cognitivo-comportamentale presentino una riduzione della sintomatologia
depressiva e ansiosa, un miglioramento delle risposte in relazione alla malattia
e un miglioramento della qualità della vita che tende a mantenersi a distanza
di tempo.
Il “marchio” che per i sopravvissuti all’Olocausto corrispondeva al numero di
matricola tatuato sul braccio, nei sopravvissuti al cancro corrisponde alle protesi
mammarie, ortopediche, alle stomie, alla perdita della capacità riproduttiva,
etc.
Per quanto riguarda il “marchio” a livello psicologico generalmente si compone
il seguente quadro:
Sopravvissuti al cancro | |
Ansia | Timore che la malattia si possa ripresentare |
Depressione | Senso di colpa per chi non ce l’ha fatta |
Tendenza all’isolamento | Le relazioni sociali risultano difficili perché ci si sente “sempre” diversi (perché magari l’immagine corporea è cambiata o perché ci si percepisce comunque non totalmente sani: massiccio utilizzo della polarizzazione per ciò che riguarda l’essere sani o malati) |
Condizioni psicosomatiche | Ogni minimo disturbo viene percepito in maniera alterata, come un possibile ritorno della malattia |
Cambio di stagione, passaggio dall’ora solare a quella legale, sbalzi termici e climatici: sono condizioni che in alcuni soggetti possono creare un vero e proprio disagio. La meteoropatia, infatti, è un complesso di disturbi sia a livello psicologico che fisico, associato ai...
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L'evoluzione della specie umana ha comportato modificazioni anche a livello psicologico. Che cosa è la Psicologia dell'Evoluzione?
L'emozione:il cuore che pulsa, le mani sudate, il respiro affannato, il tremore degli arti che accompagna sensazioni paura.
Ottimismo e pessimismo possono influire sulla salute, sul successo in ambito lavorativo, e nella vita in genere, e in definitiva sul benessere psico-fisico delle persone.