L’anziano italiano è il più depresso d’Europa. E proprio perché depresso va incontro più facilmente all’infarto anche se non fuma, mangia bene e cammina. Lo rivela lo Studio ILSA (Italian Longitudinal Study on Aging) del CNR-Sezione Invecchiamento dell’Università di Padova.
Sono più depresse le donne (58%) degli uomini (34%) oltre i 65 anni. Lo Studio ha seguito 5636 anziani per 13 anni, distribuiti in otto città: Milano, Genova, Padova, Firenze, Fermo, Bari, Napoli, Catania.
Gli anziani italiani sono i più depressi perché perdono presto il ruolo dominante
nella famiglia, vivono in solitudine e spesso con disabilità. La depressione colpisce
in modo particolare le vedove. Altro motivo è il fatto che gli anziani italiani
si sono raramente preoccupati di gestire il tempo libero in previsione della pensione,
in pochi hanno un hobby. E poi la Società italiana, a differenza di quella nord
europea, fa poco per coinvolgere gli anziani in progetti sociali. Quasi come gli
italiani sono gli spagnoli.
Bisogna però reagire, e ciò è possibile ad ogni età. La vecchiaia può essere vissuta nel modo giusto e può assumere un significato positivo ...può non essere soltanto il momento della "saggezza", ma anche quello della "creatività". Vedere: INVECCHIARE BENE ...ANZI, MOLTO BENE
Un altro elemento importante emerso dallo Studio è che il depresso ha un rischio 3-4 volte superiore di avere un infarto. La ricerca ILSA ha dimostrato che la depressione provoca l’infarto in un depresso su quattro. I più colpiti sono gli uomini.
Tre sono le ipotesi al vaglio della ricerca:
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Dallo Studio ILSA scaturisce un altro dato di estrema importanza, supportato da alcuni studi. Sembra che il trattamento farmacologico della depressione possa essere responsabile dell’aumentato rischio cardiovascolare nei pazienti depressi. In particolare gli antidepressivi triciclici possono comportare incremento della frequenza cardiaca, ipotensione posturale, alterazioni della conduzione e riduzione della variabilità della frequenza cardiaca. Nel campione dell’ILSA solo il 2-3 per cento dei soggetti era in trattamento antidepressivo, quindi gli effetti negativi di tali trattamenti sul rischio cardiovascolare non sono significativi. Alla luce, anzi, dei nuovi progressi nella terapia, si può affermare con certezza che è auspicabile un miglior controllo farmacologico della depressione, perché la mortalità e la morbilità cardiovascolare ad essa associata rappresentano un serio problema di salute pubblica.
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