Sindrome del colon irritabile Chi soffre della sindrome del colon irritabile, chiamato nel linguaggio comune colite, in genere si sottopone a numerose visite mediche per capire da cosa deriva
il suo disturbo. Per la medicina allopatica la sindrome del colon irritabile (o
intestino irritabile) è ancora una patologia di difficile interpretazione ed è trattata più come
una sintomatologia che come una malattia vera e propria. Gli attacchi, caratterizzati
da alternanza tra stipsi con feci dure e coperte di muco e diarrea acquosa e urgente
espulsa più volte al giorno associate a dolore addominale, possono variare da
individuo a individuo. Il dolore è di diversa intensità ma di solito si focalizza
sul lato sinistro dell’addome, si riduce con la pressione manuale e con il passaggio di feci e
gas. Il soggetto colitico, inoltre, lamenta gonfiore, tensione addominale e borborigmi
(rumori intestinali) a causa dell’accumulo di gas nell’intestino.
La sintomatologia spesso compare in seguito ai pasti per l’incremento dell’attività
peristaltica che si verifica subito dopo il transito del cibo nello stomaco; ad
essa si aggiungono mal di testa, nausea, flatulenza, alitosi, insonnia, perdita
dell’appetito, spossatezza. La sindrome è più frequente nel sesso femminile e
nella fascia d’età compresa tra i 30 e i 40 anni; spesso l’insorgenza è correlata
a fattori alimentari (assunzione di alcol, caffè e cibi speziati), infettivi (squilibri
della flora intestinale), intolleranze alimentari, errate abitudini di vita (sedentarietà,
abuso di farmaci).
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Nonostante si possa tracciare, attraverso indagini cliniche, un percorso che
possa spiegare i sintomi ricorrenti e specifici, la causa non emerge mai in modo
evidente; a volte l’unico segno riscontrato è un’infiammazione del colon che però
non sempre è presente. Nell’insorgenza della malattia si è sempre riconosciuto
un ruolo fondamentale allo stress emotivo che è alla base del disturbo, cronico
e ricorrente, caratterizzato da una sintomatologia acuta alternata a fasi di benessere.
La “lettura” più probabile della patologia è quella psicosomatica che ha permesso,
anche, di tracciare delle caratteristiche emotive comuni a tutti coloro che soffrono
di colite: ansia (spesso anticipatoria), tensione, depressione, paura. Ma il sentimento
che caratterizza maggiormente questa sindrome è la rabbia, un’aggressività repressa che non viene sfogata e che il soggetto rivolta contro
se stesso. Ciò che viene bloccata non è solo la rabbia ma anche l’aggressività
intesa come spinta alla realizzazione di sé; nel momento in cui sta esprimendo
se stesso e riceve una pressione esterna, il soggetto prova un senso di frustrazione
e si protegge chiudendosi. Spesso nel vissuto di chi soffre di colite ci sono
state evidenti imposizioni o costrizioni che hanno soffocato ogni realizzazione
personale e l’espressione della personalità, generando rabbia e disistima di sé.
L’intestino ha un ruolo molto importante nella sfera psicosomatica: esso rappresenta
in basso ciò che il cervello e la psiche, l’alto, non riescono a contenere o ad eliminare. Chi soffre di colite non accetta tutti
quei contenuti che interpreta come “sporchi”: fantasie sessuali, aggressività,
ovvero i cosiddetti “bassi istinti”. Tra questi, oltre la rabbia, c’è la paura.
L’ansia che anticipa gli eventi e che scatena il sintomo è legata alla paura di
non essere all’altezza e di fallire; questo timore nasce perché in passato talento,
autorealizzazione, e sicurezza di sé non hanno avuto né spazio, né voce. Questa
interpretazione spiega facilmente perché la colite spesso si presenta in concomitanza
di eventi particolari come prove, esami, situazioni stressanti. La scarica diarroica
improvvisa e violenta è la riattivazione di un modo arcaico di sottrarsi alla
situazione temuta e di scaricare il contenuto emotivo.
Nella sindrome tipica che caratterizza il colon irritabile c’è alternanza tra episodi di stipsi e diarrea. Questa oscillazione è una metafora della difficoltà del soggetto ad accettare
tutte le parti di sé, positive e negative, come se avesse bisogno di una visione
monopolare di se stesso e possibilmente sempre positiva. Questa idea illusoria
nella fase adulta assume la forma di dubbi disturbanti che, nello stato fortemente
negativo, assumono carattere ossessivo.
Il colon viene definito irritabile perché è, appunto, ipersensibile ai giudizi esterni e a tutti quegli elementi
che il colitico vive come destrutturanti e destabilizzanti. Le personalità-tipo
che sono più soggette a questa patologia sono sempre puntuali
e precise, moralmente rigide e controllate, ossessionate dall’ordine e dalla pulizia.
Chi soffre di colite è passivo, introverso, ha un’autostima instabile e altalenante,
non si adatta facilmente alle situazioni, è bisognoso d’affetto e tende alla dipendenza
dalle figure di riferimento. Una chiave della patologia che si riscontra in molti
soggetti è una depressione latente e mascherata, spesso alternata ad ansia che,
così come avviene per tutti i lati ombra, non riesce ad essere elaborata né manifestata
all’esterno.
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Ulcera peptica L’ulcera peptica è una lesione simile ad una ferita che si sviluppa nella mucosa interna dello
stomaco, del duodeno o dell’esofago. In base a quale porzione di mucosa colpisce, si suddivide in tre forme: gastrica, duodenale o esofagea. Nonostante la diversa localizzazione, le cause e i sintomi sono comuni a tutte
e tre le forme. La definizione di peptica deriva dalla causa dell’erosione legata alla presenza di un enzima, la pepsina, e dall’acido cloridrico presente nei succhi gastrici. In determinate condizioni patologiche, questa
produzione acida ed enzimatica aumenta, mentre diminuisce l’azione dei fattori
protettivi che rivestono lo stomaco. Il succo gastrico aggredisce la mucosa producendo
prima un’infiammazione della parete e poi un’ulcerazione.
La sintomatologia in fase iniziale è subdola e difficile da riconoscere; in molti
pazienti può addirittura essere asintomatica e guarire spontaneamente. In altri
casi compare un gruppo di sintomi noti comedispepsia che comprende dolore all’epigastrio (parte centrale della metà superiore dell’addome),
gonfiore, nausea, meteorismo intestinale, inappetenza. In generale, il sintomo
più evidente dell’ulcera peptica è il dolore simile ad un crampo (variabile in base alla sede dell’ulcera) associato a bruciore di stomaco. Il dolore peggiora quando la mucosa gastrica viene a contatto con
la zona ulcerata, ovvero nei trenta minuti che seguono il pasto e a digiuno. Un’altra caratteristica tipica di questa patologia è la periodicità stagionale;
i sintomi si accentuano solitamente in primavera e in autunno.
Le due forme più comuni, l’ulcera duodenale e gastrica, presentano delle lievi differenze nella sintomatologia che, seppur variabile,
possono aiutare la diagnosi. Nella forma duodenale i sintomi tipici sono i crampi
urenti, spesso anche notturni, nella parte centro-superiore dell’addome che si
attenuano con i pasti e con l’assunzione di antiacidi; in quella gastrica è presente
sazietà precoce nonostante il senso di fame, nausea, vomito, dolore nel quadrante
superiore sinistro con peggioramento durante i pasti.
Tra le cause più note dell’ulcera peptica, oltre lo stress, l’uso continuato
di farmaci analgesici, in particolare di antinfiammatori non steroidei (FANS),
il fumo e l’abuso di alcol e caffeina, oggi la causa organica della maggior parte
delle ulcere sembra essere un batterio, l’Helicobacter Pylori; questo microrganismo
presente in condizioni normali nella mucosa gastrica, in determinate situazioni
diventa aggressivo e intacca le pareti procurando un’infiammazione ulcerativa
allo stomaco o al duodeno. Il decorso dell’ulcera è solitamente cronico e il riacutizzarsi
della sintomatologica si alterna a periodi di latenza. Le possibili complicazioni
sono l’emorragia, la perforazione e la trasformazione in un tumore maligno o in
un linfoma.
Le cause identificate sono sicuramente importanti ma solo nella misura in cui
favoriscono l’insorgenza della malattia. Molte funzioni gastriche, tra cui la
motilità, il flusso sanguigno e la secrezione dell’acido, sono strettamente connessi
ai processi nervosi e allo stato psichico del paziente. Accanto alle indagini
cliniche accurate si è analizzato anche il collegamento tra la comparsa dei sintomi
e determinati momenti ed episodi della vita del soggetto che ne soffre. Il termine
stress, generalmente utilizzato per definire uno stato di tensione prolungato
che ha conseguenze sul corpo, non basta a spiegare lo stretto legame tra sintomo
e vissuto emotivo.
Così come avviene per le altre patologie che hanno un’importante origine psicosomatica,
anche nell’ulcera si può tracciare la personalità del soggetto che ne soffre.
La dinamica sottesa all’insorgenza della malattia risiede già nell’infanzia, quando
il soggetto è stato frustrato nel bisogno fondamentale, quello di un nutrimento
d’amore sano e appagante da parte delle figure di riferimento.
Il bisogno non soddisfatto porterà il soggetto a convincersi, in età adulta,
di non poter più ottenere quella dose di nutrimento affettivo e quindi, per proteggersi
dalla sofferenza, la negherà a se stesso. La conseguenza è un bisogno estremo
d’indipendenza e autonomia che nasconde la grande paura di non essere amati. Tuttavia,
questo meccanismo alimenta la sofferenza perché, nonostante l’ulceroso sia brillante,
vitale, iperattivo, autonomo e vincente sul piano professionale, dentro di lui
si nasconde la grande paura di essere “scoperto” nel suo bisogno di rassicurazione.
È qui che entra in gioco il meccanismo duale che è alla base del sintomo: l’attesa
perenne di cibo/amore induce il corpo a produrre succhi gastrici “simulando” l’arrivo del nutrimento
che, in realtà, non avviene. Lo stomaco “mangia se stesso” e la rabbia resta bloccata
dentro fino a corrodere le pareti.
Le situazioni nelle quali il sintomo si fa sentire sono quelle caratterizzate
da conflitti, cambiamenti improvvisi, scelte importanti, fasi di distacco, soprattutto
dalla famiglia d’origine, momenti in cui la rabbia non riesce ad esprimersi e
resta bloccata e trattenuta per lungo tempo. L’ulceroso, pur trasmettendo un’immagine
di persona “rampante” e “di successo”, reprime e non manifesta il bisogno di rassicurazione
e la paura del rifiuto, della solitudine, le contrarietà e l’aggressività che
non elabora ma rivolge contro se stesso.
Anche l’iperattività esasperata è funzionale a colmare la sofferenza e la paura
interiore. Spesso l’ulceroso ha avuto una famiglia invadente e oppressiva su tutti
i piani, che si è sempre imposta, anche con atteggiamenti ricattatori, su scelte
professionali e sentimentali.
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