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FITOTERAPIA E LEGISLAZIONE |
A cura di Anna Paola Tortora |
La normativa che disciplina il settore dell’arte erboristica si basa su un testo legislativo risalente al 1931. Si tratta di un Regio Decreto
che per primo ha cominciato a mettere ordine in un ambito fino ad allora privo
di regole. Nonostante si tratti di un testo molto vecchio, le norme ivi riportate,
alcune con i dovuti aggiornamenti del caso, sono ancora in vigore. Ciò non esclude
comunque che negli anni sia stato prodotto un insieme di normative e direttive
che hanno arricchito la disciplina che regola il settore.
A ben vedere, il fatto che il mondo dell’arte erboristica e dei prodotti di derivazione
naturale, come gli integratori alimentari, sia sottoposto a legislazione, serve a preservare la salute di chi si rivolge ai prodotti naturali con lo scopo di ottenere dal loro impiego
effetti benefici derivanti dalle sostanze curative contenute al loro interno.
Altrettanto importante è che la raccolta delle piante, la loro diffusione, lavorazione
e assunzione, siano anch'essi sottoposti a normativa. La disciplina si sofferma
a dettare linee guida sul confezionamento dei prodotti a base di piante, sui soggetti
deputati alla lavorazione di queste ultime, sui processi di estrazione dei principi
attivi, sulle autorizzazioni necessarie alla produzione e per la vendita. Prima
di tutto questo, però, la norma ha dovuto chiarire le definizioni, ciò di cui
ci occupiamo più avanti. Precise, poi, le direttive in merito alle piante utilizzabili
e vendibili all’interno delle erboristerie e quelle invece interdette al commercio
al dettaglio che, in alcuni casi, possono però essere utilizzate come materia
prima nella produzione di farmaci di sintesi e non di integratori alimentari.
Nonostante – come si vedrà in seguito – la legge attribuisca ai prodotti erboristici
un’azione limitata a livello curativo, qualsiasi genere di pianta ha, sull’organismo di chi l’assume, un effetto; la sua influenza sicuramente sarà molto più delicata, ma esisterà. E va ricordato
che nel medesimo modo in cui una pianta ha poteri curativi, essa può rivelarsi
deleteria per l'organismo. Anche in base a questo assunto, l’arte erboristica
non può essere praticata da tutti e la raccolta delle erbe dalle quali poi vengono
estratte le droghe non è un’attività appannaggio di chiunque.
Il Regio Decreto del 1931 individuava già con precisione il ruolo del raccoglitore
e chiariva anche i requisiti necessari per procedere al confezionamento e alla
vendita di prodotti di origine naturale. All’interno del testo si regola anche
la raccolta e il commercio delle piante officinali, specificando che chiunque
volesse provvedere alla coglitura delle piante doveva chiedere e ottenere un’autorizzazione.
Il diploma di erborista, invece, poteva essere acquisito solo previa frequentazione
di un corso presso le apposite scuole di farmacia delle regie università e a tutt'oggi
il titolo costituisce condizione imprescindibile per esercitare il mestiere di
erborista. Questo titolo è stato sostituito recentemente con l’istituzione del
corso di Laurea in Erboristica, attivo presso le facoltà di Farmacia delle Università
italiane.
Nello specifico, quando si dice “erborista” si intende un professionista esperto autorizzato (previa la presenza in negozio del laboratorio deputato) a preparare prodotti
estemporanei a base di piante come miscele di erbe (per tisane) e di tinture madri, non però all’estrazione dei principi attivi dalle piante
la cui pratica è riservata a differenti strutture e laboratori specifici. La vendita
di prodotti come gli integratori alimentari preconfezionati e predosati, nonostante
avvenga anche all’interno delle erboristerie, può essere invece effettuata da
tutti.
Per offrire un quadro completo è importante soffermarsi sulle definizioni e sulla
loro evoluzione normativa. Una circolare dell’8 gennaio 1981 emessa dal Ministero
della Salute inizia a dettare i confini di quella che in futuro verrà delineata
come definizione del prodotto naturale. Nel testo viene specificato che nessun
prodotto può essere messo in commercio se le piante che lo compongono non sono
presenti nelle tabelle delle piante consentite (tabelle di competenza oggi della
CEE). Nel testo della circolare è poi riportato che: “I prodotti a base di piante medicinali, spesso pubblicizzate come «miscela di
erbe» o «tisane», ma presentati anche con diversa denominazione, forma e modalità
d'impiego, non possono in nessun caso essere posti in commercio senza preventiva
registrazione presso questo Ministero se (a mezzo delle etichette e dei fogli
illustrativi delle relative confezioni, o con separati stampati o in qualsiasi
altro modo) agli stessi vengano attribuiti effetti terapeutici.” Il testo traccia quindi un’importante differenza tra i prodotti galenici o
di derivazione naturale soggetti a lavorazione con effetto terapeutico (vendibili
solo nelle farmacie) e quelli invece ritenuti innocui (vendibili anche altrove):
“L'area delle piante medicinali vendibili fuori di farmacia deve essere, invece,
individuata nel gruppo delle piante suscettibili di impieghi diversi da quello
terapeutico, largamente acquistata da tempo nell'uso domestico, nell'alimentazione,
nella correzione organolettica dei cibi, ecc., talora in grado di operare qualche
intervento favorente le funzioni fisiologiche dell'organismo e ritenute, comunque,
innocue.
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Fitoterapia e legislazione | Fitoterapia e legislazione: integratori e botanicals |
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