La Sindrome da Deficit di Attenzione e Iperattività-Impulsività (ADHD, acronimo di Attention Deficit/Hyperactivity Disorder) è una patologia della sfera del comportamento che si manifesta nei bambini
in età scolare, prevalentemente nel sesso maschile. Il disturbo rappresenta una
delle problematiche psiconeurologiche più complesse, per questo è stato, ed è
attualmente oggetto, di numerosi studi e ricerche. Sindrome dall’eziologia ancora
poco chiara, ha un’incidenza sempre maggiore: nel 2003 in Italia, un alunno su
25 ne era affetto. Negli Usa, sempre nel 2003, la patologia colpiva il 3-5% dei
bambini in età scolare.
La difficoltà nell’inquadramento diagnostico deriva da una serie di fattori,
tra cui le molte problematiche che spesso vengono confuse con la sindrome vera
e propria. La scarsa conoscenza sui sintomi specifici che caratterizzano l’ADHD
comporta errori frequenti, anche da parte di specialisti attenti e scrupolosi,
e anche molte informazioni imprecise e nebulose che provengono dai contesti familiari
e scolastici. Molte famiglie, infatti, si rivolgono agli esperti per un presunto
ADHD, che poi non si rivela tale a conclusione dell’osservazione clinica. Sempre
più spesso il disturbo viene diagnosticato a bambini “difficili”, ovvero soggetti
che presentano dei comportamenti disfunzionali, come mancanza di motivazione e
svogliatezza scambiate per disattenzione, o vivacità e irrequietezza confuse con l’iperattività. Situazioni simili sono oggetto di categorizzazioni che non hanno riscontro
clinico ma che derivano, invece, da altri problemi legati a difficoltà familiari,
affettive, scolastiche e sociali.
Una generale difficoltà nell’attenzione e nelle capacità di organizzare il comportamento
secondo le regole, è molto frequente nei bambini di oggi; tale problematica ha
una forte connotazione sociale perché deriva da una sostanziale difficoltà, presente
ormai in tutti gli ambiti (familiari, sociali e scolastici), di costruire spazi
e metodi per allenare la concentrazione, la riflessione, la comunicazione.
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ADHD: definizione e sintomi L’ADHD è un disturbo del comportamento caratterizzato da tre elementi chiave:
disattenzione, impulsività e iperattività (mentale e fisica). ll bambino che soffre di ADHD è agitato, non riesce a stare
fermo, risponde prima di aver ascoltato la domanda, non rispetta le regole sociali.
Diagnosticare il disturbo è piuttosto complesso e i test specifici di misurazione
utilizzati non sempre sono risolutivi, perché l’analisi riguarda aspetti comportamentali
che possono variare molto da bambino a bambino o non essere del tutto visibili.
Nonostante le difficoltà nell’inquadramento diagnostico, esistono dei criteri
specifici a cui far riferimento, definiti nel DSM V. Per convalidare la diagnosi
di ADHD i sintomi devono essere presenti da almeno 6 mesi e manifestarsi entro
i 12 anni d’età (per il DSM-IV il limite era fissato a 7 anni). Un criterio molto
importante da considerare è la necessaria presenza dei segni del disturbo in almeno
due ambiti della vita del bambino: quello scolastico, familiare o sociale. Inoltre,
la sintomatologia deve compromettere significativamente lo sviluppo sano del soggetto.
La fase di indagine clinica, che permette di focalizzare il disturbo e la sua
entità, si effettua con una serie di strumenti, alcuni più specifici affidati
agli specialisti ed altri appositamente creati per essere utilizzati da genitori
ed insegnanti.
Disattenzione, iperattività e impulsività, ovvero i tre elementi che caratterizzano
la sindrome, possono essere facilmente presenti in ogni bambino: nell’ADHD, tuttavia,
questi aspetti sono molto più accentuati e invalidanti.
Nel DSM V vengono individuate tre tipologie, dette “presentazioni”:
• Inattentiva, dove prevale la disattenzione;
• Iperattiva – impulsiva, caratterizzata da sintomi di impulsività e di iperattività;
• Combinata, quando si presentano entrambe le condizioni di Disattenzione e Iperattività/Impulsività.
Nella forma inattentiva, il bambino non riesce a concentrare l’attenzione né
a soffermarsi su un gioco o un compito poiché gli stimoli esterni, che lui avverte
fortemente per l’elevata sensibilità, lo distraggono. I compiti difficilmente
vengono portati a termine, soprattutto quando richiedono un intenso sforzo mentale.
Inoltre il soggetto non risponde quando viene chiamato, non ascolta, non segue
le istruzioni e dimentica le cose con facilità. Nelle attività quotidiane raggiunge
precocemente un livello di stanchezza e di noia, diventando apatico. Questa condizione
emerge in modo evidente nella tendenza a passare continuamente da un’azione all’altra,
senza portare a compimento nessuna attività.
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Nella forma caratterizzata da impulsività e iperattività, il bambino è in preda
ad un movimento febbrile e continuo su tre livelli: fisico, emotivo e mentale.
Non si ferma mai, non riesce a stare seduto in classe, corre, si arrampica in
luoghi non idonei, non sa giocare serenamente, ha un’eccessiva loquacità. Nelle
situazioni ripetitive o noiose si sposta frequentemente, lancia gli oggetti, diventa
insofferente: in queste fasi spesso si presentano atteggiamenti distruttivi o
autolesionistici. L’impulsività è caratterizzata da una sostanziale difficoltà
nel seguire qualsiasi tipo di regola, anche semplicemente di aspettare il proprio
turno. Il bambino impulsivo è disubbidiente in tutti gli ambiti (famiglia, società,
scuola) non pensa prima di agire e non sa controllare i comportamenti inadeguati.
L’irrequietezza è spesso accompagnata da aggressività e atti violenti. In questa
forma in cui coesistono iperattività e impulsività, è presente anche una difficoltà
a partecipare alle attività di gruppo associata a disinteresse. Molto spesso il
bambino interrompe bruscamente le attività altrui per imporre la sua presenza.
Nella tipologia combinata, che è la più frequente, coesistono sintomi di inattenzione
e di iperattività/impulsività. A prescindere dalla tipologia specifica, in linea
generale il bambino presenta un’iperattività di fondo, termine che va distinto
dalla normale vivacità e che racchiude in sé molti significati.
La diagnosi comportamentale comprende anche altri “segni” tipici del disturbo
come l’insonnia, sonno disturbato e interrotto da incubi, appetito scarso alternato
ad errate abitudini alimentari (eccesso di zuccheri e grassi), ipersensibilità
a luci, suoni ed odori.
Se l’ADHD non viene riconosciuta e trattata adeguatamente, può protrarsi anche
nell’adolescenza e nell’età adulta. Il bambino iperattivo e disattento è vulnerabile
agli insuccessi in due ambiti fondamentali: quello scolastico e quello relazionale.
Durante i periodi critici della malattia, il soggetto non riesce ad elaborare
correttamente gli stimoli cognitivi ed emozionali e questa condizione danneggia
irrimediabilmente chi ne è affetto, proprio perché la disfunzione si verifica
quando il cervello è in una piena fase di sviluppo. Più del 50% dei soggetti che
soffrono di ADHD manifestano i sintomi anche in età adulta: ciò si verifica più
frequentemente nella variante disattenta, mentre quella iperattiva/impulsiva tende
a diminuire con l’aumentare dell’età. I rischi più frequenti sono l’accentuazione
dei disturbi della condotta, sviluppo di una personalità asociale con difficoltà
ad instaurare rapporti affettivi ed interpersonali, fallimento scolastico (il
40% dei bambini ADHD non terminano la scuola dell’obbligo), uso di sostanze (alcol,
droga, fumo), malattie sessualmente trasmissibili, problemi legali, gravidanze
in giovanissima età (prima dei vent’anni). Spesso l’ADHD coesiste con altri problemi
come disturbi dell’apprendimento, del linguaggio e comportamentali, sindromi ansiose,
depressione, turbe dell’umore, disturbo oppositivo-provocatorio, disfunzioni del
sonno.
Le cause di questo disturbo sono ancora oggi oggetto di studio. Tuttavia, nel
tempo si sono susseguite diverse ipotesi che convergono su un’origine multifattoriale dell’ADHD. Numerose ricerche effettuate su famiglie, gemelli e adottati mettono
in evidenza il ruolo della base genetica della patologia. Questa predisposizione innata si intreccia con fattori educativi
e ambientali, che determinano lo sviluppo e la gravità della patologia. A livello
organico molti studi hanno evidenziato una caratteristica presente nel bambino
iperattivo: strutture celebrali più piccole e ipofunzionanti, aree che presentano
minore reattività agli stimoli a causa di un deficit di concentrazione di due
trasmettitori, dopamina e serotonina. Su questa ipotesi fisiopatologica si sono inserite le terapie farmacologiche.
Tra i fattori che favoriscono la comparsa dell’ADHD, prende sempre più forma l’ipotesi
di un legame tra la sindrome e le allergie e/o intolleranze alimentari, in particolare
al glutine e al lattosio. Anche le carenze nutrizionali di elementi fondamentali per l’organismo come
calcio, zinco, manganese e ferro costituiscono un importante fattore che predispone
alla patologia. La carenza di specifici elementi può comportare una cattiva funzionalità
celebrale: in particolare, il deficit di ferro causa una diminuzione dell’attenzione
e della perseveranza, mentre quello di zinco è connesso all’insonnia, all’apprendimento
e alla tendenza alla violenza.
Una dieta corretta che inizia già dalla madre durante la gestazione e continua
nei primi anni di vita del bambino, previene in modo significativo la comparsa
di disturbi dell’apprendimento. Inoltre, l’uso dei prodotti raffinati e confezionati
che contengono grandi quantità di zuccheri e grassi animali, influisce sul trattamento
di cura.
Pur rappresentando un argomento molto controverso, gli studi attuali hanno individuato
nello sviluppo dell’ADHD e di patologie simili un ruolo fondamentale giocato dall’esposizione
cronica a sostanze tossiche (metalli pesanti, solventi, pesticidi) e dall’utilizzo
di droghe, fumo e alcol durante la gravidanza. Da questi studi emerge che i bambini
mantengono la suscettibilità neurotossica a determinate sostanze anche dopo la
nascita. Tra i fattori di tipo ambientale e sociale, è stato individuato un elemento
chiave, che acquisisce ancora più valenza nell’era moderna: l’eccessiva esposizione
alla tv e all’uso dei videogiochi contribuisce ad acuire il disturbo dell’attenzione
in un soggetto fragile, poiché induce ad un estraniamento dalla realtà e ad una
difficoltà nell’instaurare rapporti interpersonali.
Molti Autori hanno fatto luce su un elemento fondamentale che ha acquisito sempre
più rilevanza nel tempo e che costituisce, insieme ad altre componenti, la radice
di questa sindrome: il ruolo dell’ansia e degli aspetti psico-emotivi, in particolare quelli legati al vissuto familiare e affettivo.
Il trattamento psicoterapeutico (comportamentale, psicoanalitico o famigliare)
è fondamentale per lavorare sull’origine emotiva del disturbo e per aiutare il
bambino a ricollocarsi nell’ambiente. Insieme alla psicoterapia, il contributo
educativo ha un ruolo essenziale: viene realizzato attraverso un Counseling familiare
che insegni ai genitori i comportamenti più adatti per gestire la sindrome. A
questi approcci si associano la terapia psicomotoria, l’educazione ad una dieta
sana e salutare priva di coloranti artificiali, l’indagine su allergie, intolleranze
alimentari e sull’eventuale deficit di alcune sostanze come ferritina e zinco.
Il trattamento farmacologico proposto dalla medicina convenzionale ha come obiettivo
quello di risolvere i sintomi della patologia attraverso l’uso di farmaci psicostimolanti
derivati dalla famiglia delle amfetamine, di cui fanno parte sostanze note come
efedrina e cocaina. Le amfetamine hanno come effetto principale la stimolazione della reattività simpatica e delle funzioni celebrali. La molecola più utilizzata per il trattamento dell’ADHD è il metilfenidato, noto con il nome di Ritalin®. L’effetto di questo farmaco è lo stesso provocato dalla cocaina, ovvero quello
di migliorare l’inibizione delle risposte anomale e discriminare gli stimoli attraverso
la modulazione dei neurotrasmettitori implicati nella sindrome, la dopamina e
la noradrenalina. L’utilizzo del Ritalin® e di molecole simili, è stato violentemente
attaccato dall’opinione pubblica per i gravosi effetti collaterali, fisici e psichici,
che si verificano a breve e a lungo termine durante l’assunzione: perdita dell’appetito,
nausea, insonnia cefalea, dolori articolari, ansia, allucinazioni, tristezza,
idee ossessive, alterazioni dell’umore. Inoltre questi farmaci generano dipendenza, sia a livello organico che mentale. Nel 2003 un’indagine dimostrò che il 25-40%
dei bambini con ADHD non rispondeva alla terapia farmacologica (Bianchi, 2003).
Ma il più grande limite di tale approccio è quello di intervenire solo su alcuni
aspetti della patologia (in particolare su iperattività, miglioramento della concentrazione
e capacità di apprendimento) ma senza arrivare mai a toccare il nucleo del problema.
Gli studi più recenti, soprattutto in ambito psicoanalitico, hanno evidenziato
che l’origine della sindrome non risiede in una patologia di natura organica.
Mentre nel tempo si rafforza l’ipotesi genetica, quella neuropsichiatrica si fonda
principalmente sull’analisi di dati cognitivi e comportamentali; questi ultimi
non bastano a spiegare la sindrome, ma forniscono una sede in cui cercare il sintomo
dell’iperattività che produce una serie di complicazioni, come le difficoltà nell’adattamento
alle regole sociali e nelle capacità cognitive del bambino. Questi aspetti sono
confermati dal ruolo della scuola che rappresenta l’innesco dell’iperattività:
l’ambito scolastico limita le pulsioni e impone delle regole attraverso l’apprendimento
e la trasmissione del sapere. A questi due obblighi sociali il bambino risponde
con l’iperattività, esprimendo con il corpo il suo rifiuto al trattamento educativo,
che viene messo in scacco. La forza dell’iperattività non riesce ad essere domata
né dai genitori, né dagli insegnanti. Il bambino iperattivo si scontra con gli
adulti, li insulta, sfida genitori e insegnanti, aggredisce i compagni. Il rigetto
del bambino è causato da un eccesso di eccitazione che non ha trovato argini nella
relazione genitoriale, soprattutto nel ruolo del padre. Alla figura paterna spetta il compito di far operare al figlio i processi di
separazione e rinuncia, indispensabili per permettere al bambino di crescere e
di saper affrontare le perdite e le frustrazioni dell’esistenza. Un padre poco
presente, che si rifiuta di prendersi la responsabilità del suo ruolo, determina
una condizione di mancanza di regole e limiti dove tutto è caos. Il bambino, confuso
e alla ricerca di spazi e tempi organizzati, utilizza l’iperattività per sfidare
l’adulto, cercando di ottenere regole, ordine e contenimento che possano placare
la sua angoscia.
La terapia farmacologica tradizionale è una “scorciatoia terapeutica” che, seppur
utile in molti casi in cui si presentino particolari aggravamenti, provoca danni
spesso irreversibili. Inoltre è molto scarsa la documentazione sugli effetti a
lungo termine di tali farmaci.
Il nodo centrale su cui soffermarsi è che il bambino che soffre di ADHD presenta
una sintomatologia complessa che ha una duplice caratteristica: da un lato, determinati
sintomi sono comuni a tutti soggetti e sono essenziali per la diagnosi; dall’altro,
esistono dei criteri individuali, una specifica espressività della sindrome, caratteristica di ciascun bambino. Proprio in virtù di questa analisi si è
fatto strada nel tempo l’approccio basato su una medicina complementare: l’omeopatia. Un vasto panorama di ricerche conferma l’interesse del mondo scientifico e
dell’opinione pubblica circa l’uso delle medicine alternative in ambito psichiatrico
e per le patologie infantili.
L’aspetto psichico e comportamentale è centrale nella scelta dell’approccio omeopatico
che, in tal senso, agisce sullo strato più profondo della patologia. Secondo alcuni
Autori carenze affettive, difficoltà nella relazione genitoriale, una figura materna
che soffre di depressione, sovraffollamento famigliare e gravi conflitti tra i
genitori sono fattori che condizionano fortemente lo sviluppo celebrale. L’eziologia
familiare dell’ADHD è una realtà molto concreta e rappresenta un aspetto che richiede
un approccio multimodale.
L’approccio olistico alla base della terapia omeopatica esamina i sintomi generali della malattia
e quelli manifestati dal soggetto individuale che si riferiscono ad una specifica
personalità. L’approccio farmacologico non tiene conto di questo aspetto ma si
occupa della soppressione del sintomo. L’azione della terapia omeopatica non è
finalizzata all’eliminazione delle manifestazioni cliniche ma al raggiungimento
dell’equilibrio psico-fisico attraverso la stimolazione delle difese dell’organismo
del bambino.
L’omeopatia per la cura dell’ADHD presenta numerosi vantaggi: - Azione a livello globale su tutti gli aspetti (sfera fisica, mentale ed emotiva)
“stanando” la dinamica che rappresenta l’origine del problema;
- Assenza di tossicità dei rimedi omeopatici, a differenza della farmacologia
classica che produce numerosi effetti collaterali e sviluppa fenomeni di dipendenza
(come nel caso delle amfetamine);
- Costi contenuti rispetto ai farmaci tradizionali;
- Un’efficacia terapeutica che dura nel tempo e continua ad agire anche a lungo
termine.
La tendenza sempre più crescente a scegliere questo tipo di terapia non è dovuta
solo ai risultati positivi ottenuti, ma anche alla possibilità di offrire delle
soluzioni che migliorino la qualità della vita dei bambini, fornendo strumenti
che possano essere utilizzati in congiunzione con altre terapie, compresa quella
farmacologica convenzionale, nelle forme più gravi.
Un’anamnesi e una visita medica accurata che analizza la totalità dei segni psicofisici
espressi dal bambino e dalla sua personalità, sono essenziali per inquadrare la
diagnosi ed escludere eventuali malattie organiche. L’indagine e la relativa prescrizione
dei rimedi devono essere affidate ad un medico omeopata esperto che analizzi il
quadro sintomatologico, ma anche la percezione che il bambino ha dei suoi stessi
sintomi. Attraverso il repertorio omeopatico, il medico individua il rimedio più
simile al bambino e alla sua costituzione. Più è precisa la repertorizzazione,
più sarà efficace l’intervento terapeutico. A tal fine sarà preziosa la testimonianza
dei genitori per comprendere la storia personale e relazionale del bambino, gli
elementi aggravanti, quali situazioni lo calmano, le modalità del sonno, l’alimentazione,
l’insorgenza del disturbo. Anche l’atteggiamento del bambino in ambito scolastico
è determinante.
Generalmente si prescrivono due rimedi, uno costituzionale (rimedio individuato in base all’aspetto fisico, psicologico e comportamentale
del singolo soggetto) ed un altro specifico: quello costituzionale viene normalmente prescritto in alte potenze (200 K,
MK e XMK) e ripetuto ad intervalli molto lunghi e adattati in base alla progressione
dei sintomi.
Il rimedio unitario specifico viene selezionato con molta attenzione, soprattutto
nell’ADHD in cui coesistono vari aspetti che possono ricondursi a diversi rimedi.
Anche qui la scelta del rimedio, della potenza e della formulazione (granuli,
globuli o gocce) deve essere sempre affidata al medico curante.
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