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LE EPATITI VIRALI |
A cura della Dott.ssa Rosanna Berardi,
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L'epatite virale è un'infiammazione del fegato causata dall'infezione da parte di alcuni virus che hanno la caratteristica
di replicarsi principalmente o esclusivamente nel tessuto epatico.
Ad oggi sono noti 5 tipi di epatite determinati dai cosiddetti virus epatitici
maggiori: epatite A, epatite B, epatite C, epatite D (Delta), epatite E. In circa il 10-20% dei casi tuttavia l’agente responsabile dell’epatite resta
ignoto. Di recente sono stati scoperti altri virus epatotropi, quali il virus G, il virus TT ed ultimamente il SEN virus, ma il loro ruolo come agenti causali
di epatite è tuttora in fase di studio e nel caso del virus G ed il virus TT appare
ancora dubbio.
I suddetti virus causano infezione acuta che può essere silente oppure sintomatica.
Solo alcuni virus (HBV, HCV, HDV) possono stabilire infezione permanente, causando
vari gradi di danni al fegato.
SINTOMATOLOGIA
Infezione acuta
Nella maggior parte dei casi l'infezione acuta si manifesta con disturbi di tipo
influenzale, senso di malessere e stanchezza preceduti talvolta da modificazioni
del colore delle urine che diventano scure, delle feci che diventano chiare, della
sclera e della cute che tendono ad ingiallire (ittero).
La maggior parte delle infezioni acute non si accompagna a questi classici sintomi
di epatite acuta (epatite asintomatica).
In casi molto rari l'infezione è così severa da provocare la fulminea distruzione
del fegato con rapido deterioramento dell'attività di altri organi vitali (epatite fulminante). Questa forma di epatite ha spesso esito rapidamente mortale.
L’infezione acuta da epatite A, B e C è caratterizzata nella prima fase da:
Infezione cronica
La persistenza del virus nel fegato può causare infiammazione permanente del
tessuto epatico, cioè epatite cronica. L'epatite cronica è dovuta alla continua aggressione delle cellule epatiche
infette da parte del sistema immune, che però non riesce ad eliminare il virus.
Nella metà circa dei pazienti l'infezione cronica causa lesioni importanti del
fegato e una quota di questi pazienti può sviluppare cirrosi.
In alcuni casi (10-20%), il paziente presenta il quadro classico dell’influenza
con febbre (da 37,7 a 38,3) e mal di gola, raffreddore e tosse. Le urine tendono
a diventare ipercromiche, cioè con una colorazione più intensa. In definitiva,
la sintomatologia è poco specifica (cioè non fa pensare immediatamente all’epatite)
perché potrebbe essere riferita anche ad altre malattie. Ci sono però alcune circostanze
che devono far pensare a un’epatite, per esempio:
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L'epatite A
È sostenuta da un virus a struttura RNA (HAV), classificato attualmente come
prototipo del nuovo genere degli Hepatovirus, ed ha un periodo di incubazione
che va da 15 a 50 giorni. L’epatite A ha generalmente un decorso autolimitante
e benigno; sono pure frequenti le forme asintomatiche, soprattutto nel corso di
epidemie e nei bambini. Tuttavia a volte si possono avere forme più gravi con
decorso protratto ed anche forme fulminanti rapidamente fatali. La diffusione
avviene per via feco-orale mediante contatti interpersonali o tramite cibo e acqua
contaminati. Il virus è presente nelle feci 7-10 giorni prima dell’esordio dei
sintomi e fino a una settimana dopo, mentre è presente nel sangue solo per pochi
giorni. In genere il contagio avviene per contatto diretto da persona a persona
o attraverso il consumo di acqua o cibi crudi o non cotti a sufficienza, soprattutto
molluschi, contaminati con materiale fecale contenente il virus. Solo raramente
sono stati osservati casi di contagio per trasfusioni di sangue o prodotti derivati.
In genere la malattia ha una durata di 1-2 settimane e si manifesta con febbre,
malessere, nausea, dolori addominali ed ittero, accompagnati da elevazioni delle
transaminasi e della bilirubina. I pazienti guariscono completamente senza mai
cronicizzare. Non esiste lo stato di portatore cronico del virus A, né nel sangue,
né nelle feci. Il periodo medio di incubazione è di 4 settimane. L'infezione non
cronicizza mai. In rari casi l'infezione può avere decorso fulminante e mortale.
Attualmente solo il 10% degli italiani d'età inferiore ai 20 anni, ha sviluppato
anticorpi protettivi contro il virus epatite A. Di conseguenza sono in aumento
le infezioni nella popolazione adulta che, a differenza di quanto avviene nel
bambino, è malattia sintomatica fastidiosa, che può protrarsi per alcuni mesi.
La prevenzione primaria implica lavare frequentemente le mani, risciacquare accuratamente
frutta e verdura, bollire i cibi potenzialmente contaminati, evitare la balneazione
in acque che possono essere contaminate da scarichi fognari. La prevenzione secondaria
riguarda soggetti già esposti al rischio di epatite A e si basa sulla iniezione
di gammaglobuline umane aspecifiche che però ha efficacia limitata nel tempo.
Più efficace e sicura è la prevenzione mediante vaccino ottenuto per inattivazione
e uccisione del virus. Esiste anche un vaccino preparato con proteine virali sintetizzate
artificialmente con tecniche di ricombinazione genetica. Il vaccino contro l'epatite
A viene somministrato per via sottocutanea o intramuscolare, nel muscolo deltoide
della spalla, in due dosi, ai tempi 0 e 6 mesi. La vaccinazione è innocua ed è
raccomandata, nei soggetti a rischio, fra cui coloro che sono affetti da malattie
epatiche croniche, gli omosessuali, coloro che viaggiano in paesi dove l’epatite
A è endemica, per coloro che lavorano in ambienti a contatto con il virus, i tossicodipendenti,
ed i contatti familiari di soggetti con epatite acute A.
L'epatite B
È sostenuta dal virus dell’epatite B (HBV) che è un virus a DNA appartenente
alla famiglia degli Hepadnaviridae. L'infezione è sostenuta da 2 ceppi dominanti:
uno, definito selvaggio, si caratterizza per la presenza nel sangue dell'antigene
“e” (HBeAg) mentre l'altro, detto mutante è sprovvisto dell’antigene “e”. Il ceppo
HBeAg identifica infezioni croniche di recente origine con replicazione sostenuta.
Il ceppo HBeAg negativo rappresenta la fase più tardiva delle infezioni croniche
ed ha bassa replicazione. Entrambi i ceppi possono causare malattie epatiche lievi
e severe. In Italia il 95% dei pazienti affetti da epatite cronica B è portatore
del ceppo HBeAg negativo. La sorgente d’infezione è rappresentata da soggetti
affetti da malattia acuta o da portatori d’infezione cronica, che hanno il virus
nel sangue ma anche in diversi liquidi biologici: saliva, bile, secreto nasale,
latte materno, sperma, muco vaginale ecc.. La trasmissione, attraverso il sangue
avviene pertanto per via parenterale, apparente o non apparente, per via sessuale
e per via verticale da madre a figlio. La via parenterale apparente è quella che
si realizza attraverso trasfusioni di sangue od emoderivati contaminati dal virus,
o per tagli/ punture con aghi/strumenti infetti. La via parenterale in apparenza
si realizza quando il virus penetra nell’organismo attraverso minime lesione della
cute o delle mucose (spazzolini, forbici, pettini, rasoi, spazzole da bagno contaminate
da sangue infetto).
Per quanto riguarda il rischio di contagio per trasfusione, esiste ancora nei
paesi in via di sviluppo, mentre è praticamente nullo nei paesi industrializzati.
Infatti, al controllo del sangue della donazione si aggiungono i processi di lavorazione
successiva che distruggono il virus. A rischio dunque sono i tossicodipendenti,
gli omosessuali, il personale sanitario a contatto con persone contagiate o che
lavorano sull’agente infettivo, ma anche i contatti familiari e sessuali con persone
infette, e tutte quelle pratiche che prevedono il contatto con aghi e siringhe
non sterili, come i tatuaggi, piercing, manicure, pedicure, ecc.. Il virus resiste
in ambienti esterni fino a 7 giorni, per cui il contagio è possibile anche per
contatto con oggetti contaminati. Il periodo di incubazione varia fra 45 e 180
giorni, ma si attesta solitamente fra 60 e 90 giorni. Nella maggior parte dei
casi non evoca sintomi specifici. Nell'adulto l'infezione acuta si risolve spontaneamente
nel 97% dei casi e solo nel 3% dei casi ha evoluzione cronica. Di rado (1 ogni
10.000), l' infezione può avere evoluzione fulminante e richiedere trattamento
con trapianto ortotopico di fegato. L’epatite acuta B è nella maggior parte dei
casi asintomatica. In coloro in cui la malattia si manifesta, l’esordio è insidioso,
con vaghi disturbi addominali, nausea, vomito e spesso si arriva all’ittero, accompagnato
a volte da lieve febbre. Solo però il 30-50 per cento delle infezioni acute negli
adulti e il 10 per cento nei bambini porta all’ittero. Il tasso di letalità è
di circa l’1 per cento. Nel neonato e negli infanti l'infezione acuta HBV ha frequente
evoluzione cronica (50% dei casi), poiché le difese immunitarie sono meno efficaci.
Dal 1991 fino al 2003 è stata attuata la prevenzione dell'infezione su scala nazionale
mediante programma di vaccinoprofilassi obbligatoria dei nuovi nati e dei dodicenni.
Dal 2003 vengono vaccinati solo i nuovi nati. Dal 1984 la vaccinazione è messa
a disposizione delle Regioni per individui a rischio di contrarre l'infezione
come i conviventi di pazienti infetti, categorie professionalmente esposte, pazienti
in attesa di cure ospedaliere complesse e viaggiatori verso regioni endemiche
per epatite B.
Il programma di vaccinazione anti HBV opera in oltre 150 Paesi. Sono in sviluppo
vaccini orali, cioè alimenti vegetali di largo consumo geneticamente modificati,
che possono permettere la vaccinazione di molte popolazioni in aree economicamente
disagiate. Nel 20 per cento dei casi l’epatite cronica può progredire in cirrosi
epatica nell’arco di circa 5 anni. Il cancro al fegato (epatocarcinoma) è un’altra
complicanza frequente dell’epatite cronica, soprattutto nei pazienti con cirrosi.
L’infezione da HBV nei paesi ad elevata endemia è responsabile fino al 90% dei
carcinomi del fegato. Il virus è presente in quasi tutti i liquidi biologici del
portatore: la trasmissione avviene per contagio interumano mediante penetrazione
attraverso la cute e le mucose di minime quantità di liquidi organici infetti.
Le modalità più frequenti di contagio sono i rapporti sessuali e la puntura con
aghi infetti. In Asia e Africa una via importante è anche la trasmissione materno-fetale.
In Italia negli ultimi decenni il livello di infezione cronica HBV nella popolazione
è calato dal 2-3% allo 0.8%. Questo è avvenuto per effetto della osservanza di
più stringenti misure di screening dei donatori di sangue, di igiene privata e
pubblica e per la introduzione della vaccino-profilassi. L’infezione cronica con
il virus dell’epatite B può essere trattata con interferone alfa per via parenterale;
lamivudina e adefovir dipivoxil, per via orale. L’interferone è indicato come
trattamento di prima linea nei pazienti più giovani, con evidente danno al fegato,
mentre la sua somministrazione è gravata da rischi nei pazienti con malattia epatica
avanzata e nei pazienti con alterazioni del sistema immunitario, come i pazienti
portatori di trapianto d’organo.
Il trattamento con lamivudina è ben tollerato da tutti i pazienti e può essere
somministrato anche a pazienti con scompenso epatico (ittero ed ascite) e nei
portatori di trapianto d’organo. La cura, però, tende a perdere efficacia nel
volgere di pochi mesi poiché il virus dell’epatite B, mutando, genera resistenza
al farmaco. L'adefovir dipivoxil, farmaco dotato di potente azione anti-epatite
B è privo di effetti collaterali, causa minore resistenza virale ed è attivo contro
HBV lamivudino-resistente. Sono in sperimentazione altri efficaci farmaci antivirali.
L'epatite C
È sostenuta da un virus umano a struttura RNA, il virus HCV (Hepacavirus) fa
parte della famiglia dei Flaviviridae.
Nel mondo, il virus dell'epatite HCV, è presente nel sangue di oltre 250 milioni
di persone. Esistono 6 diversi tipi di HCV (genotipi) diffusi in modo diverso
nei vari continenti. L’infezione colpisce circa il 3% della popolazione mondiale.
In Italia oltre il 2% della popolazione adulta è infetto. Il periodo di incubazione
va da 2 settimane a 6 mesi, ma per lo più varia nell’ambito di 6-9 settimane.
La maggioranza delle infezioni acute è asintomatica e tende a cronicizzate nel
70% dei casi. Il 10-20% di tutti i pazienti con infezione cronica può sviluppare
cirrosi nell'arco di 20-40 anni, soprattutto in presenza di alcuni fattori di
co-morbidità come eccessivo consumo di bevande alcoliche, sovrappeso corporeo,
presenza di malattie concomitanti che determinano accumulo di ferro (emocromatosi)
e una non ancora definita predisposizione individuale su base genetica. La co-infezione
con HBV e con il virus HIV facilitano la cronicizzazione e l'evoluzione cirrotica
dell'epatite C.
Lo stato di infezione viene definito dalla dimostrazione del virus nel sangue
(HCV-RNA).
Il virus si replica nel fegato ed è trasmesso mediante sangue e liquidi biologici
infetti inoculati per via percutanea, con modalità simili a quelle del virus B.
La trasmissione avviene, infatti, principalmente per via parenterale apparente
ed non apparente. Sono stati documentati anche casi di contagio per via sessuale,
ma questa via sembra essere molto meno efficiente che per l’HBV. L’infezione si
può trasmettere per via verticale da madre a figlio in meno del 5% dei casi. Il
controllo delle donazioni di sangue, attraverso il test per la ricerca degli anticorpi
anti-HCV, ha notevolmente ridotto il rischio d’infezione in seguito a trasfusioni
di sangue ed emoderivati.
L’infezione acuta da HCV è assai spesso asintomatica ed anitterica (in oltre
i 2/3 dei casi ). I sintomi, quando presenti sono caratterizzati da dolori muscolari,
nausea, vomito, febbre, dolori addominali ed ittero. Un decorso fulminante fatale
si osserva assai raramente (0,1%). L’infezione acuta diventa cronica in una elevatissima
percentuale dei casi, stimata fino all’85%. Il 20-30 % dei pazienti con epatite
cronica C sviluppa nell’arco di 10-20 anni una cirrosi e l’epatocarcinoma può
evolvere da una persistente cirrosi da HCV in circa l’1-4% dei pazienti per anno.
A differenza dell'epatite B, le cure per l'epatite C sono capaci di eliminare
il virus dal corpo. Gli interferoni peghilati, associati a ribavirina costituiscono
oggi la terapia standard e sono capaci di eliminare il virus in oltre l'80% delle
infezioni sostenute dai genotipi 2 e 3 e nel 50% dei casi di genotipo 1. Va detto
però che le cure a base di interferone e ribavirina sono faticose, non vengono
tollerate dal 10-15% di tutti i pazienti, costretti a precoce sospensione e non
possono essere applicate ai pazienti con malattie epatiche decompensate. Per queste
ragioni le cure vengono erogate solo da Centri ospedalieri specializzati, nei
quali i medici accuratamente selezionano i pazienti da trattare.
A tutt’oggi non esiste un vaccino per l’epatite C e l’uso di immunoglobuline
non si è mostrato efficace. Le uniche misure realmente efficaci sono rappresentate
dalla osservanza delle norme igieniche generali, dalla sterilizzazione degli strumenti
usati per gli interventi chirurgici e per i trattamenti estetici, nell’uso di
materiali monouso, nella protezione dei rapporti sessuali a rischio.
La prevenzione rimane un approccio importante per evitare le peggiori conseguenze
di molte infezioni C. Il rischio di contrarre HCV rimane elevato nelle persone
che fanno uso di droghe in vena, mentre è ancora apprezzabile tra le persone che
si sottopongono a tatuaggi e piercing.
Nuovi farmaci contro l'epatite C sono attualmente disponibili; tra questi l’Abuferon,
un interferone alfa 2b fuso con Albumina umana ricombinante e l’Eltrombopag il
cui effetto terapeutico è di aumentare il numero delle piastrine nel sangue dei
malati di epatite C. Questa azione risulta molto vantaggiosa nei cirrotici che
per via delle loro piastrine troppo basse, non potrebbero fare la cura con interferone
e ribavirina, mentre se viene loro somministrata una dose al giorno di Eltrombopag,
hanno un aumento delle piastrine tale da pennettere anche a loro la terapia con
interferone e ribavirina. Un ulteriore nuovo farmaco è il Telaprevir che è un
farmaco specifico per il virus C in quanto inibisce uno degli enzimi che il virus
utilizza per riprodursi.
L'epatite D o Delta
L’agente infettivo dell’epatite Delta è noto come HDV: viene classificato tra
i virus cosiddetti satelliti, o subvirioni, che necessitano della presenza di
un altro virus per potersi replicare. È sostenuta da un virus difettivo a struttura
RNA che richiede delle funzioni fornite del virus dell'epatite B (HBV) per l'assemblaggio
del virione e per l'ingresso all'interno degli epatociti, ma non per la replicazione
del suo acido nucleico.
L’infezione può verificarsi secondo due modalità:
1) infezione simultanea da virus B e D. In questo caso si verifica un epatite
clinicamente simile all’epatite B.
2) sovrainfezione di virus D in un portatore cronico di HBV. Si verifica allora
una nuova epatite acuta a volte fatale.
L'infezione da virus dell'epatite Delta (HDV) è diffusa in tutto il mondo e interessa
circa il 5% dei portatori di HBV. Da questi dati si stima che vi siano circa 15
milioni di casi di portatori di infezione cronica Delta nel mondo.
Negli ultimi decenni, la prevalenza di infezione HDV nell'Europa meridionale
e quindi anche in Italia si è ridotta notevolmente, soprattutto grazie alle campagne
di vaccinazione contro l'epatite B. Essa rimane tuttavia piuttosto elevata nei
paesi dell'Europa orientale, nel nord d'Africa e nelle aree sub-tropicali.
La trasmissione dell'infezione Delta avviene per via parentale, cioè attraverso
il contatto con sangue o altri liquidi biologici infetti.
Il decorso clinico della co-infezione dipende dal grado di espressione dei due
virus. In questo caso la malattia è generalmente bifasica, con due episodi successivi
di elevazione della transaminasi, a poche settimane di distanza l'uno dall'altro,
il primo correlato alla replicazione dell'HBV e il secondo correlato alla replicazione
dell'HDV.
È una malattia autolimitantesi nella maggior parte dei casi, con una progressione
a malattia cronica osservata nel 2% dei casi circa.
La modalità di trasmissione è la stessa dell’epatite B e il periodo di incubazione
va da 2 a 8 settimane.
Il decorso clinico della superinfezione è generalmente caratterizzato da un quadro
manifesto di epatite, in una persona precedentemente in buone condizioni di salute,
che può rapidamente evolvere in insufficienza epatica.
La malattia può avere un decorso severo dando in alcuni un quadro di epatite
fulminante. LA progressione a cronicità si verifica nel 70% circa.
La diagnosi di infezione Delta viene fatta mediante il riscontro dell'acido nucleico
virale (HDV RNA) nel siero, oppure mediante la presenza di antigene virale (HDAg)
in campioni di tessuto epatico.
Una diagnosi iniziale può essere fatta mediante la ricerca di anticorpi diretti
contro il virus Delta, sia di classe IgM (IgM-anti HDV) che di classe IgG (IgG-anti
HDV).
La vaccinazione anti-HBV protegge sempre anche nei confronti dell'infezione HDV.
Molti farmaci differenti sono stati impiegati nel corso degli anni, nel trattamento
dell'epatite Delta, con risultati generalmente deludenti. L'interferone ha dimostrato
nel tempo di essere il farmaco più promettente ed è attualmente l'unica terapia
approvata per il trattamento dell'epatite cronica Delta. Tuttavia, il trattamento
dell'epatite cronica Delta con Interferon richiede alti dosaggi per almeno 12
mesi di trattamento complessivo. I risultati di numerosi studi condotti negli
anni hanno indicato che alti dosaggi di farmaco somministrato per lunghi periodi
di tempo possono significativamente migliorare il decorso clinico e la sopravvivenza
anche in pazienti con diagnosi di cirrosi.
Sono attualmente allo studio nuove molecole che hanno già dato risultati incoraggianti
in termini di soppressione della viremia HDV, nel trattamento di animali da esperimento
infettati con il virus Delta.
Il trapianto di fegato rappresenta una efficace opzione terapeutica nei pazienti
con malattia cronica scompensata. Le percentuali di sopravvivenza a 5 anni osservate
nei pazienti sottoposti a trapinto per cirrosi scompensata da HDV sono più elevate
di quelle osservate per le altre forme di epatite virale.
L'epatite E
L’agente infettivo dell’epatite E, il virus HEV è stato provvisoriamente classificato
nella famiglia dei Caliciviridae. L’epatite E è una malattia acuta assai spesso
itterica ed autolimitante, molto simile all’epatite A. Il virus E (HEV) è un agente
virale di recente identificazione con struttura a RNA. Come il virus dell'epatite
A, il virus E viene escreto attraverso la bile nelle feci, e viene trasmesso per
via feco-orale.
A differenza dell'epatite A, la fonte principale di infezione è l'acqua inquinata,
causa di molte epidemie nel subcontinente indiano, nella Russia Asiatica, in Medio
Oriente, Nord Africa e Centro America. Da questi focolai epidemici l'infezione
è stata trasmessa mediante contatti interpersonali a singoli individui (casi sporadici).
In Italia il rischio di epatite E è limitato a viaggiatori diretti verso le sopracitate
aree endemiche. Caratteristica principale di questa infezione è l’alta frequenza
di forme cliniche fulminanti (1-12% ) ed una particolare severità del decorso
nelle donne gravide, specialmente nel terzo trimestre di gravidanza, con mortalità
che arriva fino al 40%. La malattia non cronicizza mai. Come per l’epatite A,
la trasmissione avviene per via oro-fecale, e l’acqua contaminata da feci è il
veicolo principale dell’infezione. Il periodo di incubazione va da 15 a 64 giorni.
Circa l'1% degli italiani ha anticorpi anti-HEV a testimonianza di pregressa,
guarita infezione. L'infezione colpisce preferenzialmente giovani e adulti (15-40
anni), ha un'incubazione variabile tra 2 e 9 settimane e spesso ha un'evoluzione
subclinica o moderata con guarigione clinica permanente. Le gammaglobuline commerciali
non prevengono il contagio. Non esiste attualmente un vaccino, e pertanto la prevenzione
dell'infezione è basata su misure di igiene personale e alimentare (primaria).
Epatite G
L’opinione prevalente tra gli scienziati è che questo virus, identificato nel
1995, sia solo lontanamente simile a quello dell’epatite C. Infatti non è chiarito
se provochi effettivamente un’epatite di qualche tipo o malattie a carico di qualche
altro organo. Evidentemente può dare luogo a infezioni acute, che spesso guariscono
come prova il fatto che in molti soggetti sono stati trovati gli anticorpi che
indicano la guarigione. Nelle persone in cui l’infezione è cronica il virus è
presente nel sangue e può restarci per anni, ma è raro trovare malattie di fegato
associate. L’HGV, in compenso è molto frequente nei pazienti affetti da epatite
C causata da trasfusione (nel 10-15%).
INFORMAZIONI UTILI
È giusto che chi è sano faccia gli esami del sangue per i markers dell'epatite?
In assenza di disturbi specifici di malattia epatica, gli esami sono necessari
in chi ha fattori di rischio per epatite. Questi sono la convivenza con famigliari
infetti o affetti da cirrosi, storia di tossicodipendenza, emotrasfusioni, tatuaggi
e uso in famiglia di strumenti contaminati come siringhe di vetro. I markers dell'epatite
sono consigliati per i partners sessuali di portatori cronici di HCV/HBV anche
se la loro probabilità di risultare infetti è comunque bassa.
C'è un rischio reale, a lungo termine, di cancro del fegato?
Il rischio è basso, dell'ordine di 1 su 10.000, se si è un portatore di HBV o
HCV senza malattia del fegato. La possibilità di tumore è maggiore se è già presente
cirrosi epatica. In questo caso, la probabilità di sviluppare cancro del fegato
è circa 3% per ogni anno di cirrosi.
Le trasfusioni di sangue e gli emoderivati sono sicuri?
I test praticati sulle singole unità di sangue donato escludono con certezza
la presenza di virus epatitici. La possibile "fase finestra", in cui il test per
gli anticorpi anti-HCV è negativo pur essendo presente il virus, è annullata dalle
tecniche attualmente disponibili (NAT).
Il rischio di epatite trasfusionale è oggi dell'ordine di 1 caso ogni 50-100
mila donazioni. Tutti i prodotti derivati dal sangue (fattori della coagulazione,
albumina, immunoglobuline) sono oggi controllati con metodi ad altissima sensibilità
che riducono praticamente a zero il rischio nel donare il sangue, e vengono sottoposti
ad efficienti processi di sterilizzazione.
Gli animali possono trasmettere l'infezione?
I soli animali che possono ospitare i virus epatitici umani sono alcune varietà
di scimmie. Non esiste nessuna possibilità pratica che epatiti virali vengano
trasmesse da animali domestici o da cortile, con la sola eccezione forse dell'epatite.
Come evitare di trasmettere l'infezione a coloro che ci circondano?
In famiglia: L'unica maniera efficace per proteggere i familiari del portatore di HBV è
il vaccino. Tutti i conviventi debbono essere vaccinati.
Per l'HCV sono particolarmente importanti tutte le precauzioni, già prima elencate,
che eliminano i possibili contatti con il sangue del portatore. Non occorre adottare
eccessive cautele, come l'uso a tavola di stoviglie e posate separate, o in bagno
di asciugamani a parte.
Col partner sessuale: È un obbligo morale e giuridico informare il partner del proprio stato. Il
portatore di HBV può risolvere ogni problema di contagio del partner abituale
con la vaccinazione di quest'ultimo. Deve invece avere cura, nei rapporti occasionali,
di utilizzare sempre il profilattico, che serve per proteggere gli altri oltre
che sè stessi.
La trasmissione sessuale del virus C è rara. Non c'è quindi motivo reale, nelle
coppie stabili, di utilizzare protezioni (profilattico), data la bassa infettività.
Nei rapporti occasionali va comunque utilizzato il profilattico.
Nei rapporti sociali: Non c'è ragione di preoccuparsi di potere contagiare gli amici o le persone
che vengono casualmente a contatto, in assenza di rapporti intimi.
Sul lavoro o a scuola: A questo riguardo vale quanto già detto per i rapporti sociali extrafamiliari.
Il problema della infezione da virus B in ambiente scolastico è ormai risolto
dalla vaccinazione universale obbligatoria. Alcune occupazioni come alimentaristi,
vigilatrici di infanzia e personale parasanitario richiedono alcune precauzioni
o restrizioni.
La normativa legale in materia è in evoluzione, ed ancora in parte non adeguata
alle conoscenze scientifiche. Una interpretazione restrittiva di alcune norme
potrebbe portare alla esclusione dalla attività lavorativa o dalla scuola.
Dal Medico: È d’obbligo avvertire il medico curante e tutti i sanitari (in particolare
chi esegue i prelievi di sangue, il dentista, l'ostetrico, il chirurgo) dello
stato di portatore cronico di virus epatitico, affinché vengano intraprese le
misure necessarie e a non diffondere l'infezione nell'ambiente. È utile trascrivere
su un documento personale (patente o carta di identità), insieme al gruppo sanguigno,
l'indicazione della HBsAg o anti-HCV positività. I donatori di sangue non potranno
più continuare ad esserlo.
Se si contrae l'infezione con una trasfusione, è previsto un indennizzo per il
danno subito?
La legge 210/92 stabilisce la possibilità di indennizzo per chi abbia contratto
una infezione a seguito di emotrasfusioni o uso di emoderivati. Perché tale indennizzo
possa essere realisticamente richiesto, per quel che riguarda le epatiti virali,
è necessario che:
- esista una documentazione ufficiale di trasfusioni o uso di emoderivati
- vi sia la prova di assenza del virus, o quantomeno di transaminasi normali,
precedentemente alla trasfusione
- sussistano evidenze di infezione in atto.
La cataratta è la malattia oculare più conosciuta nell'anziano, ma ci sono altre patologie che, se non riconosciute e curate in tempo, possono portare alla cecità. Glaucoma e retinopatia diabetica, per esempio, possono essere trattate a seguito di una tempestiva diagnosi fatta...
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