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ERNIA DEL DISCO: DIAGNOSI, TRATTAMENTO, PREVENZIONE |
A cura di Maura Peripoli |
Molte persone ne soffrono e la maggior parte di coloro che ne sono colpiti, non sanno come orientarsi. L’ernia del disco è una patologia dolorosa e complicata che nella maggior parte dei casi necessita di un intervento chirurgico.
Viene definita ernia del disco o discale lo spostamento o la fuoruscita di un contenuto (nucleo polposo) dal proprio
naturale contenitore. In questo caso il contenuto è il nucleo del disco intervertebrale,
il contenitore è il cosiddetto “anulus”, ossia la parte esterna del disco intervertebrale,
ovvero quel “cuscinetto” che ha il compito di ammortizzare le forze che si sviluppano
all’interno della colonna tra una vertebra e l’altra. Ma è necessario fare una
distinzione: quando il nucleo polposo “esce” da un disco intervertebrale ma non
supera l’anello fibroso, è più corretto parlare di protrusione discale, mentre la fuoruscita del materiale nucleare dalle fissurazioni dell'anello
fibroso, provoca l'ernia discale vera e propria. Il materiale “fuori sede” può progredire fino a farsi strada
oltre il legamento longitudinale posteriore. Se un frammento di materiale perde
continuità con il nucleo polposo si realizza la cosiddetta “ernia espulsa” che
può vagare lungo il canale vertebrale.
Secondo studi condotti in molti paesi (Danimarca, Svezia, Stati Uniti, Olanda,
Regno Unito) il 50-70% della popolazione adulta ha avuto una esperienza di dolore
lombare. Però solo il 15-20% dei soggetti lombalgici acuti ricorre alle cure del
medico. La risoluzione spontanea di questa patologia è molto frequente, mentre
nel 75% dei casi, si risolve entro quattro settimane, nel 95% entro sei mesi,
mentre persiste oltre questo periodo “solo” per il 5%. Il tasso di ricaduta arriva
al 60 % nel corso dei due anni successivi.
Ma perché il nucleo del disco intervertebrale esce dalla propria sede?
Perché si crea una lesione nell’anulus, ossia nella parte esterna del disco intervertebrale, ed in questa lesione si
infila il nucleo, che non è altro che acqua. La lesione dell’anulus avviene generalmente o per piccoli microtraumi ripetuti (esercizi in palestra
svolti male, o posture sbagliate in soggetti predisposti) o a causa di un trauma
“importante” che o nell’immediata o dopo alcuni giorni provoca, appunto, l’ernia.
L’ernia vera e propria, poi, compare, quasi sempre, nel momento in cui ci si rialza
da una posizione in flessione anteriore, magari combinata con una rotazione. Questo
movimento fa sì che venga spinto posteriormente il nucleo del disco intervertebrale
che va ad infilarsi nella lesione precedente dell’anulus, e fuoriesce.
Quindi è facile che un’ernia venga prodotta?
Non propriamente: affinché si produca l'ernia discale è necessario che esistano
dei fattori predisponenti, di natura degenerativa, a carico dell'anello fibroso
e che il nucleo sia ancora abbastanza conservato per poter protrudere.
Si tratta quindi di una compressione del nervo?
Gli esperti hanno pensato per molti anni che si trattasse di una compressione,
invece oggi, la teoria più accreditata propende per la possibilità che si tratti
di un “importante” fenomeno infiammatorio del nervo, causato non tanto dallo schiacciamento,
quanto piuttosto dal rilascio di tutta una serie di sostanze contenute nel nucleo
discale che sono altamente lesive per il nervo. Dunque se la lesione è compressiva,
occorrerà assolutamente decomprimere e, in questo caso, l’unico tipo di intervento
efficace è quello chirurgico. Se invece la lesione è chimica, allora la soluzione
potrebbe arrivare dai farmaci, ultimamente gli scienziati ne stanno mettendo a
punto alcuni che sembrano molto promettenti, ma per l’utilizzo dei quali e per
l’adeguatezza, occorrerà aspettare ancora qualche anno.
Perché si forma l'ernia discale?
Sono diversi i fattori che intervengono: innanzitutto occorre dire che tutte
le cause che aumentano la pressione discale possono provocare un cedimento od
una lacerazione dell'anello fibroso e in questo caso viene aperta una via, come
detto sopra, attraverso cui il nucleo polposo si fa strada. Generalmente la causa
principale di lesione discale avviene in conseguenza di una significativa forza
di torsione. È importante anche sottolineare che questa situazione è propria di
coloro che presentano un disco già in preda a fenomeni degenerativi, poiché si
è osservato che, a carichi crescenti, in un rachide normale la lesione strutturale
avviene prima nelle vertebre che nel disco.
E come si riconosce un’ernia?
L’ernia è facilmente riconoscibile con la Tac o Risonanza Magnetica, ma dal momento
che oggi si sa che circa il 25-30% delle persone che non hanno mai avuto mal di
schiena in vita loro hanno un’ernia, si capisce che la vera diagnosi di ernia
del disco può farla solo lo specialista con una visita e che la Tac o la Risonanza
Magnetica possono solo confermare ciò che un bravo ortopedico ha visto e intuito
nel paziente. L’unica cosa veramente tangibile in questo caso, è una mancanza
di forza, di sensibilità o di riflessi a livello delle gambe. Se questi test sono
negativi, se anche c’è un’ernia non ci può essere l’assoluta certezza che questa
sia la causa del dolore.
Questo significa che il medico conta di più della TAC o della Risonanza Magnetica?
In effetti si può dire che questa affermazione è esatta anche perché l’ernia
tende ad autorisolversi spontaneamente, quindi nelle prime quattro settimane,
salvo rare eccezioni che il bravo medico sa ben individuare, di norma si deve
evitare di intervenire chirurgicamente, per verificare se l’ernia segue il suo
naturale corso positivo. Va anche detto che spesso questo richiede tempi più lunghi
delle quattro settimane e che qui conta molto una nuova la visita dello specialista
in quale è in grado di registrare delle variazioni positive rispetto alla prima
visita, anche se magari i sintomi non sono migliorati.
E quali sono i sintomi più diffusi?
L'ernia produce sintomi solo quando viene ad interessare, comprimendole o dislocandole,
le strutture vicine, nervose, quali le radici o il midollo, o che comunque contengono
delle terminazioni sensitive quali il legamento longitudinale. Per quanto riguarda
la sintomatologia, esistono diverse fasi anche se per il paziente il problema
più grave è l’insorgenza del dolore. Generalmente il fastidio, più o meno accentuato,
va ad interessare la superficie lombare e/o si irradia lungo un arto inferiore.
Abbinato a ciò possono verificarsi anche sensazioni parestesiche (formicolii o
dolori a puntura di spillo). Sono più rari invece i fenomeni di improvvisi deficit
muscolare. Quando invece intervengono inaspettati disturbi sfinterici, occorre
intervenire tempestivamente e agire chirurgicamente.
E di fronte al dolore quale può essere la soluzione da adottare?
Visto che il dolore è piuttosto fastidioso e a volte anche violento, occorrerà
procedere con un trattamento per ridurre l’infiammazione. Il cortisone produce
buoni risultati in questo caso, ma anche gli antinfiammatori, che sono in grado
di ridurre il dolore se somministrati a medio lungo termine. Fino a qualche anno
fa si riteneva che rimanere coricati a letto potesse rappresentare una soluzione
ma gli esperti ultimamente vanno in controtendenza: secondo loro bisogna evitare
di mettersi completamente a letto e si devono alternare momenti di riposo al movimento,
evitando le posizioni che fanno aumentare il dolore e che caricano la schiena.
In particolare spesso la posizione che fa più male è quella da seduta. Infine,
è importante scegliere un educatore “ad hoc” in grado di fornire un aiuto sia
per quanto riguarda i movimenti più opportuni da compiere, sia per sollevare un
po’ dal dolore.
Esistono degli esercizi adeguati in grado di ridurre il dolore?
Sì, una delle tecniche più usate per il trattamento del dolore che si irradia
lungo gli arti è costituita da una serie di esercizi abbastanza semplici messi
a punto da un fisioterapista neozelandese (McKenzie) che cercano di ridurre la
pressione del disco sul nervo spingendo la parte di disco che comprime, nella
sua posizione normale. Questo tipo di esercizi devono però venire eseguito sotto
la “stretta” sorveglianza di un fisioterapista “ben formato” che vi saprà orientare
verso i movimenti più corretti.
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A quel punto non rimane che l’intervento chirurgico che sicuramente toglierà
il male alla gamba ma non farà migliorare il mal di schiena. Il rischio di “ricadute”,
inoltre, esiste sia che ci si operi sia che si rinunci all’operazione. È bene
sottolineare anche che l’intervento chirurgico è invasivo, lascia delle cicatrici
visibili e presuppone un lungo periodo di convalescenza.
E la riabilitazione post intervento come deve essere e quanto tempo ci vuole
per tornare a muoversi facilmente?
Dopo l’intervento non bisogna limitare l’attività fisica, salvo che in caso di
attività lavorativa a rischio professionale per ernia del disco. È consigliato
un programma di fisioterapia da iniziare possibilmente entro 4-6 settimane dall’intervento,
anche se non vi sono prove che identificano una particolare modalità o tipologia
di programma riabilitativo.
Esiste un modo per prevenire l’ernia del disco?
La prevenzione, l'unica possibile, riguarda il mantenimento di un tono muscolare
che garantisca alla colonna un sostegno adeguato. Per questo sarà opportuno programmare
degli esercizi, simili a quelli che verranno prescritti a chi è stato operato,
che non comportino un carico per la schiena, ma permettano il rafforzamento di
addominali e paravertebrali, i muscoli che, sostengono la zona lombare posteriormente
e anteriormente. Il nuoto viene considerato la disciplina sportiva più adatta
per questo tipo di problemi perché impegna in maniera simmetrica tutta la muscolatura.
Ci sono poi attività che servono a rafforzare alcune parti in modo mirato: è il
caso, per esempio, della cyclette che rafforza i quadricipiti femorali, cioè i
muscoli anteriori della coscia. Sono controindicati invece gli sport che, come
il tennis, il golf, il motocross, la pallavolo, il sollevamento pesi, sollecitano
in modo asimmetrico la colonna vertebrale. La palestra, infine, può essere utile
per programmi mirati al rafforzamento degli addominali e che prevedano molti esercizi
di streching.
La cataratta è la malattia oculare più conosciuta nell'anziano, ma ci sono altre patologie che, se non riconosciute e curate in tempo, possono portare alla cecità. Glaucoma e retinopatia diabetica, per esempio, possono essere trattate a seguito di una tempestiva diagnosi fatta...
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