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L'IPERTENSIONE ARTERIOSA RESISTENTE |
A cura di Francesca Soccorsi con la consulenza del Prof. Alberto Morganti, Presidente della S.I.I.A. (Società Italiana per l’Ipertensione Arteriosa) |
Circa un miliardo di persone nel mondo soffre di ipertensione arteriosa, cifra che, secondo le stime, è destinata ad arrivare a 1,6 miliardi entro il
2025. Gli ipertesi in Italia sono oltre 15 milioni, il 50% dei quali ha più di
65 anni. Ma quand’è che si può parlare di ipertensione? I valori della pressione
arteriosa cambiano con l’età e tendono a modificarsi non solo con l’avanzare degli
anni ma anche nel corso della giornata: in genere sono più alti al risveglio e
diminuiscono durante il giorno e possono variare a causa di sollecitazioni fisiche
ed emotive. Non esistono, quindi, in senso assoluto valori ritenuti “normali”
e la definizione di limiti netti può risultare arbitraria. Tuttavia in letteratura
si parla di ipertensione in presenza di valori costanti oltre i 140/90 mmHg. Condizione
che costringe il cuore a faticare di più per spingere il sangue in circolo e che,
a lungo andare, può danneggiare l’apparato cardiovascolare.
Solo nel 5% dei casi la causa dell’ipertensione è conosciuta (insufficienza renale cronica, stenosi dell’arteria renale, uso di farmaci, etc.): in questo caso
si parla di ipertensione secondaria, legata, cioè a patologie note. Nel restante 95%, invece, essa non è attribuibile
ad alcuna causa identificabile e pertanto viene detta primitiva, idiopatica o essenziale, sebbene possano esservi fattori predisponenti di tipo
genetico, ambientale, oppure legati alla dieta e allo stress.
Normalmente il primo riscontro di ipertensione arteriosa, soprattutto nelle forme
lievi, è occasionale. Talora, invece, soprattutto quando i valori si presentano
fin da subito molto elevati, si riscontrano cefalea, vertigini, perdita di sangue
dal naso fino ad alterazioni del ritmo cardiaco, edemi degli arti inferiori, difficoltà
di respirazione, progressiva riduzione della funzionalità renale, fino a eventi
drammatici come l’ictus.
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Resistenza ai farmaci
Quando, invece, i valori pressori continuano a mantenersi elevati nonostante
la cura plurifarmacologica e un corretto stile di vita, si parla di “ipertensione resistente”, espressione con la quale si intende una forma di ipertensione non secondaria
ad altre patologie, che non risponde a una terapia assunta regolarmente per settimane
o mesi condotta con almeno tre farmaci fra cui un diuretico.
In questo caso l’approccio terapeutico più indicato prevede trattamenti non farmacologici come la “terapia di attivazione del baroriflesso” e la “denervazione renale”,
ma solo dopo attenta valutazione del paziente e selezione dei casi idonei.
La terapia di attivazione del baroriflesso
A livello delle arterie carotidi, dove si trovano i “barocettori” o recettori
per la pressione del sangue, viene inserito un piccolo strumento (una sorta di
elettrodo) che stimola i recettori stessi inducendoli ad attivare la vasodilatazione
periferica, con conseguente riduzione della pressione. Lo svantaggio principale
della metodica è che l’applicazione dello strumento prevede un vero e proprio
intervento di chirurgia vascolare, da eseguire in anestesia generale. Ma la tecnica
ha il vantaggio di permettere un’immediata verifica del funzionamento dell’elettrodo:
attivando e disattivando la stimolazione prodotta dallo strumento si può vedere
“in diretta” se si ottiene il desiderato effetto vasodilatatorio.
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Bibliografia
- Beevers D. G. Ipertensione, Alpha Test 2007.
- Grassi G., Dalla patologia ipertensiva al paziente iperteso, Primula Multimedia 2009.
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