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INFEZIONE DA LISTERIA MONOCYTOGENESI |
A cura di Alessandra Mallarino |
La Listeria monocytogenes è un batterio gram positivo, con la tipica forma a bastoncello, dotato di motilità grazie alla presenza
di diversi flagelli.
Si tratta di un batterio capace di essere invasivo a livello gastrointestinale
e di stabilizzarsi in un secondo tempo direttamente nei monociti (da qui il nome
specifico, monocytogenes), ma anche nei macrofagi e nei leucociti polimorfo nucleati, in questo modo
riesce ad essere trasportato a livello ematico.
Il fatto che si possa rendere evidente la presenza intracellulare all’interno
dei fagociti apre la possibilità di accedere a livello del cervello o anche attraverso
la membrana placentare. La sua alta patogenicità è legata alla peculiarità di
moltiplicarsi nei fagociti dell’ospite.
Appertenente alla classe dei Bacilli, riferendosi al NCBI Taxonomy Database,
esistono sei specie del genere Listeria (L. grayi, L. innocua, L. ivanovi, L. monocytogenes, L. seeligeri e L. welshimeri). A livello di variabilità esistono diversi sierotipi di cui i più comuni, nell’infezione
che riguarda gli esseri umani, sono: I/2a, I/2b e 4b.
A livello ecologico-ambientale, si tratta di un batterio che trova come suoi
habitat preferiti il suolo, l’acqua, il fango, il foraggio normale e quello fermentato,
ovvero quello insilato. A tale proposito si è notato che l’utilizzo di questo
foraggio direttamente nell’alimentazione animale, aumenterebbe l’incidenza della
listeriosi negli animali.
Gli animali che possono essere colpiti dalla Listeria monocytogenes non sono
solo gli animali da allevamento ma anche quelli domestici e selvatici, dai mammiferi
più comuni agli uccelli includendo anche delle specie di pesci e molluschi e ovviamente
l’uomo.
La Listeria si può riscontrare nelle feci di circa il 10% della popolazione animale
e umana, ciò è anche legato al fatto che questo batterio riesce a sopravvivere
molto bene, pur non essendo un batterio sporigeno, sia al freddo, al caldo, e
all’essiccamento, riesce infatti a svilupparsi anche in condizioni di temperatura
inferiore ai 3°C.
I batteri riescono dunque anche a sopravvivere in ambienti industriali, come
le industrie alimentari, dove la contaminazione può rappresentare un vero problema.
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Per ciò che concerne la terapia: si cura con antibiotici, soprattutto ampicillina o penicillina. La dose infettiva si ipotizza che vari in base alla tipologia di ceppo e alla suscettibilità della persona contraente, ovviamente in caso di bambini, anziani e immunodepressi è più facile che anche una piccola dose sia già molto aggressiva.
A livello d’indagine si procede con esami al microscopio per valutare la presenza
di bastoncelli nel meconio (neonati) oppure nel liquido cerebrospinale. Si procede
poi nell’isolamento del batterio dal fluido cerebro-spinale, liquido amniotico,
meconio, sangue ecc., l’importante è saperlo ben differenziare da altri tipi di
batteri similari. In sintesi si procede con un’emocoltura del sangue dopo aver
comunicato al laboratorio di analisi che si hanno dubbi su questo tipo di batterio
e non su altri. Altri metodi diagnostici possono essere la biopsia del fegato.
Il tempo richiesto per le tecniche d’identificazione è variabile dalle 24 alle
48 ore di coltivazione, poi seguono altri test, in ogni caso sono necessari circa
7 giorni seguendo i metodi tradizionali.
Per quello che riguarda la diffusione, si tratta di un’infezione che molto raramente
può manifestarsi a livello epidemico, ma molto più frequentemente a livello isolato.
I dati epidemiologici americani dicono che il 30% dei casi è rappresentato da
neonati con età inferiore al mese e tra le persone più esposte ci sono i bambini,
i giovani e le persone immunocompromesse, le donne incinte, e coloro che spesso
fanno uso terapeutico di corticosteroidi, per contrastare il cancro o per terapie
immunosopressive antirigetto, o per combattere l'AIDS, ma anche malati di colite
ulcerosa, diabetici, asmatici.
La trasmissione avviene attraverso il canale alimentare, in modo preferenziale.
Questa è la modalità più semplice per il batterio di entrare nell’organismo umano
e insediarsi. Tramite la contaminazione primaria (quando l'alimento si è contaminato
a livello agricolo) oppure per contatto durante la lavorazione (questo accade
quando gli impianti sono contaminati).
Tra tutti gli alimenti presenti sulle tavole quelli più a rischio sono:
- i formaggi molli, cioè quelli non a pasta dura, ad esempio il Gorgonzola
- il latte crudo, pastorizzato in maniera incompleta
- verdura contaminata se consumata cruda e non cotta
- carne pronta al consumo (es., paté)
- carne cruda
- gelato
- salumi crudi (nel caso del prosciutto può essere che la contaminazione sia avvenuta al momento
del taglio a causa di macchine poco pulite)
- pollame crudo o cotto (specie se in insalata)
- pesce crudo, in salamoia e affumicato (anche insalate di mare)
Si sono evidenziati anche casi di batteri isolati in meloni (venduti già tagliati) e in insalate di patate. Da ricordare che si tratta di un batterio capace di crescere anche nei prodotti
refrigerati.
Quali sono invece gli alimenti sicuri?
- formaggi duri
- formaggi spalmabili
- formaggi fermentati
- latte pastorizzato
- latte tipo UHT
- yogurt
- cibi in scatola
- cibo sottoceto
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Bibliografia
- Research Laboratories Merck, The Merck Manual, quinta edizione, Milano, Springer-Verlag, 2008.
- Chin J. (a cura di), Control of Communicable Diseases in Man – Manuale per il controllo delle malattie trasmissibili; 17a edizione
pubblicata dalla American Public Health Association; 2000; DEA editrice
- Sozzi B., Barbuti S., Campanini M., Industria Conserve, 65, 217 ( 1990 ).
- Lovett J., in Bacterial food pathogens, cap. 7, pag. 291-292, ed. M.P. Doyle (M.Dekker inc., New York – 1989)
- Farber J.M et al., Letters Appl. Microb., 15, 103, (1992).
- Microorganisms in foods – vol.5,
- Characteristics of microbial pathogens, cap. 8 , pag. 145, ed. ICMSF (Blackie
Academic and Professional – 1996).
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