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L'OSTEOPOROSI |
A cura di Ugo Perugini |
L’osteoporosi è una malattia che interessa lo scheletro ed è caratterizzata da diversi fattori
quali la ridotta massa ossea, il deterioramento della microarchitettura del tessuto
osseo, nonché disordini scheletrici che contribuiscono a comprometterne la sua
resistenza. Tali fattori favoriscono nella persona colpita una maggiore fragilità
dell’osso e una più elevata predisposizione alle fratture.
Le persone più a rischio sono quelle anziane perché l’invecchiamento di per sé
comporta un maggiore deterioramento dell’osso, ma la patologia può riguardare
anche donne in età relativamente giovane, in particolare quelle che hanno raggiunto
la menopausa, perché è proprio in questo periodo che viene meno l’azione svolta
dagli estrogeni – gli ormoni sessuali femminili – in grado di contrastare il progresso
di questa patologia.
L’osteoporosi, quindi, anche in relazione al costante invecchiamento della popolazione,
è in continuo aumento e, per le gravi conseguenze che comporta, viene considerata
una malattia sociale.
Sintomi e conseguenze dell’osteoporosi
L’osteoporosi purtroppo è asintomatica – cioè non prevede sintomi particolari, se si esclude qualche sensazione di dolore a livello osseo, che, quindi, non bisogna mai sottovalutare –, è progressiva e potenzialmente invalidante. Si manifesta con quella che è la sua complicanza più comune e più grave, cioè una frattura, spontanea o a seguito di una caduta. Le sedi di frattura più frequenti sono la colonna vertebrale nel tratto dorso-lombare (oltre il 46%), il femore e il polso. Il sesso femminile è significativamente più colpito di quello maschile (una donna su tre al di sopra dei 50 anni di età) e le fratture del femore sono più frequenti nelle donne oltre i 75 anni. La frattura del femore è associata a importanti conseguenze mediche, che vanno oltre la semplice lesione al segmento osseo. Tale danno si accompagna, infatti, a dolore, perdita di autonomia funzionale, e può comportare ricovero in istituti di riabilitazione e degenze a lungo termine. Da ricordare che le persone che hanno subito la frattura del femore registrano un aumento della mortalità da 2 a 4 volte più elevata rispetto a soggetti che non hanno avuto fratture.
La struttura e la massa dell’osso
Come è fatto un osso lo sappiamo tutti. Vediamo, però, di fornire ulteriori elementi
di conoscenza. La parte esterna (osso corticale) è liscia e dura mentre all’interno
si trova una complicata struttura, detta anche microarchitettura, simile a una
spugna (osso trabecolare).
A seconda del tipo di osso prevale la parte compatta esterna o quella trabecolare
interna. La parte esterna è più importante nelle ossa lunghe, come il femore e
l’omero, mentre l’altra è più abbondante nelle ossa piatte, come quelle del cranio,
del bacino e nelle ossa corte.
L’osteoporosi, in genere, causa fragilità non tanto per l’assottigliamento dell’osso
corticale, quanto per la degenerazione dell’osso trabecolare, che arriva a creare
veri e propri “buchi”.
La massa ossea è costituita prevalentemente da sali minerali (soprattutto fosfati di calcio) che, durante il processo di mineralizzazione, vengono depositati sulla matrice dell’osso. Quest’ultima è una complessa struttura di molecole proteiche, a forma di reticolato, sulla quale si inseriscono i cristalli di calcio per conferire all’osso durezza e resistenza. Il picco di massa ossea – cioè il suo valore massimo – in genere, viene raggiunto da una persona attorno ai 25/30 anni.
Il turnover o rimodellamento osseo
L’osso è un tessuto vivo, sottoposto continuamente a un ciclo di riassorbimento
e ricostituzione, detto appunto turnover o rimodellamento osseo . In sintesi, questo processo, durante il quale l’osso vecchio viene sostituito
da quello nuovo, è svolto da due strutture cellulari, gli osteoclasti, che si
occupano della distruzione dell’osso, e gli osteoblasti, che concorrono alla sua
riformazione.
Nella persona adulta e sana questo ciclo avviene mantenendo immutata la massa
ossea: nel senso che l’osso distrutto viene sostituito in modo equivalente da
quello nuovo.
In base alla funzione degli osteoclasti e degli osteoblasti e in relazione all’età
e alla menopausa, si possono distinguere due tipi di osteoporosi:
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La perdita di massa ossea, rispetto al picco raggiunto da una persona sana, può
essere determinata, fino al 70%, da fattori genetici. Si è notato, infatti, una
somiglianza strutturale tra madre/figlia e madre/nonna, per quanto riguarda il
femore e la colonna vertebrale, esaminati attraverso le radiografie.
La presenza, nell’anamnesi di un paziente malato di osteoporosi, di famigliari
che hanno sofferto la stessa malattia è anche confermato dagli approfondimenti
diagnostici attraverso esami di densitometria. Se il picco di massa ossea raggiunto
in gioventù è alto e se la perdita è lenta non bisogna preoccuparsi. Se il capitale
osseo iniziale non è alto e la perdita è rapida (o peggio tutte e due le cose
insieme) occorre mettere in atto adeguati interventi.
Bisogna, però, considerare che esistono anche altri fattori in grado di influenzare
il livello di massa ossea di una persona, come quelli nutrizionali, ormonali,
legati all’attività fisica, ecc.
Riportiamo due tabelle nelle quali segnaliamo i più importanti fattori di rischio
riguardanti la probabilità dell’insorgere della malattia dell’osteoporosi:
Fattori di rischio sicuri |
Fattori di rischio probabili |
- menopausa precoce (prima dei 45 anni) |
- elevato consumo di alcolì |
- donne in postmenopausa con precedenti familiari di fratture di probabile origine osteoporotica |
- apporto inadeguato di calcio |
- basso rapporto peso/altezza in donne in postmenopausa |
- fumo |
- ovariectomia premenopausale |
- alto rapporto proteine/fosfati nell’alimentazione |
- amenorrea premenopausale |
- elevato consumo di caffè |
- immobilizzazione prolungata |
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- uso di corticosteroidi |
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Misurazione della densità ossea
La mineralometria ossea computerizzata (MOC) viene effettuata con la tecnica della densitometria ossea a raggi X (DXA). Si tratta di un esame non invasivo – con radiazioni molto basse, inferiori a quelle di una normale radiografia o di una TAC – che permette di misurare soprattutto i segmenti ossei con scarsi tessuti molli, come l’avambraccio e il calcagno. Il parametro che misura la densità minerale ossea è calcolato come rapporto tra il contenuto minerale dell’osso in relazione alla zona su cui si esegue la radiografia, cosa che elimina in larga parte l’effetto della dimensione del corpo, rendendo possibile comparare i risultati anche tra persone di differente conformazione. Tale esame può essere applicato anche ad altre zone interessate da fratture, come vertebre lombari e zona femorale, e all’intero scheletro.
Per la misurazione della densità ossea, soprattutto a livello delle vertebre, si può ricorrere anche alla tomografia computerizzata (QCT). Questo sistema presenta alcuni vantaggi, come quello di evitare che processi artrosici in corso interferiscano, alterandoli, sui valori finali, oltre alla possibilità di distinguere tra osso corticale (esterno) e trabecolare (interno). Purtroppo, però, il metodo – decisamente più costoso – può risultare meno preciso di quello DXA e comporta una maggiore esposizione del paziente alle radiazioni.
Da qualche anno, si ricorre anche alla densitometria a ultrasuoni (QUS), applicata soprattutto alla zona del calcagno e delle falangi delle mani. Tale metodo ha il vantaggio di non esporre a radiazioni il paziente, di avere un basso costo, oltre a ottenere indicazioni tridimensionali e qualitative dell’osso, anche se la precisione lascerebbe piuttosto a desiderare.
Diagnosi dell’osteoporosi
L’indagine densitometrica, come abbiamo visto, è in grado di misurare in modo
abbastanza accurato e preciso la massa ossea e la sua densità minerale e, quindi,
di verificare la resistenza meccanica dell’osso stesso. Essa rileva un valore
(massa ossea per unità di volume) che viene confrontato con quello medio registrato
in soggetti sani dello stesso sesso durante il cosiddetto picco di massa ossea.
L’unità di misura è rappresentata dalla deviazione standard da tale picco medio.
Se aumenta detta unità cresce anche il rischio di fattura.
Di solito, i medici sconsigliano di sottoporre a test densitometrici generalizzati
donne tra i 50 e i 59 anni di età per prevenire fratture vertebrali o di femore
visto che non se ne conosce la reale utilità e il rapporto costi/benefici è difficilmente
valutabile. Piuttosto, è preferibile suggerire tale accertamento dopo aver valutato
la sua opportunità su base individuale e in considerazione dell’età e della presenza
di precisi fattori di rischio (si vedano le tabelle sopra).
La diagnosi densitometrica, infatti, va considerata come la misurazione della
pressione arteriosa in presenza di ipertensione o rischio di ictus. Prima di tradurla
in una diagnosi clinica è necessaria un’attenta valutazione complessiva di altri
fattori scheletrici ed extrascheletrici che condizionano il rischio di frattura
e la decisione di intraprendere o meno un determinato trattamento.
Può risultare utile, invece, nei casi dubbi, monitorare l’eventuale processo
osteoporotico, seguendo la variazione della massa ossea nel tempo: se si accerta,
ad esempio, una sua riduzione superiore al 3% nel giro di un anno, la diagnosi
può venire confermata.
Approfondimenti diagnostici
D’altra parte, anche se l’indagine densitometrica dovesse rilevare un quadro
di densità minerale ridotto rispetto alla media non è detto che si sia di fronte
a un caso di osteoporosi. Per i pazienti per i quali si riscontri una demineralizzazione
ossea o fratture non traumatiche, occorre prima escludere malattie che abbiano
come causa secondaria l’osteoporosi.
Ci riferiamo, in particolare, a patologie endocrine, metaboliche, renali, reumatiche,
gastroenteriche, ematologiche. Senza dimenticare eventuali problemi legati a deficit
nutrizionali o effetti farmacologici dovuti a trattamenti medici (corticosteroidi,
anticonvulsivanti, ormoni tiroidei, ecc.). O malattie ancor più gravi come l’osteomalacia,
il mieloma, le metastasi scheletriche, l’osteodistrofia renale.
Una volta sgombrato il campo da questi dubbi, si possono richiedere ulteriori
approfondimenti, sottoponendo, ad esempio, i pazienti ad esami del sangue e dell’urina,
di I° livello (VES, emocromo completo, protidemia frazionata, calcemia, fosforemia,
transaminasi, ecc.) e di II° livello che, tra i vari accertamenti, prevedono anche
i cosiddetti markers specifici del turnover osseo, in grado di segnalare i processi di formazione
e riassorbimento osseo. Attualmente, però, nemmeno tali markers servono per la diagnosi di osteoporosi né per valutare il bilancio osseo anche
se potrebbero tornare utili nel monitoraggio della terapia.
La prevenzione dell’osteoporosi.
Misure non farmacologiche
Misure farmacologiche
Una terapia farmacologica dell’osteoporosi deve essere in grado di proteggere la qualità dell’osso, cercando di preservarne le proprietà strutturali e materiali, regolandone adeguatamente il turnover osseo. Naturalmente, ai farmaci che descriviamo qui di seguito si deve ricorrere esclusivamente dietro prescrizione medica.
Bibliografia - National Institutes of Health. Consensus Development Conference Statement: Osteoporosis prevention, diagnosis, and therapy. NIH Consens Statement 2000; 17(1):1-36 - Consensus Development Conference. Osteoporosis: prevention, diagnosis, and therapy. JAMA 2001; 285:785-95
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