L'Osteoartropatia di Carchot, comunemente nota come Piede di Charcot, è una complicanza del diabete che colpisce le ossa e le articolazioni del piede. Se non trattata adeguatamente al momento della sua comparsa, provoca la frammentazione
delle ossa e la deformazione dei piedi ed espone al rischio di perdere i normali
rapporti articolari. Con il tempo le alterazioni dello scheletro del piede si
accentuano fino alla completa inversione dell’arco plantare.
Incidenza L’incidenza della patologia oscilla tra lo 0,1 e il 5% dei pazienti diabetici,
ma la malattia è ancora poco conosciuta e certamente sottostimata. La maggior
parte dei soggetti colpiti ha un’età compresa tra i 50 e i 60 anni, con una storia
di malattia diabetica alle spalle di circa 10 anni.
Cause La prima causa di Osteoartropatia di Charcot è la presenza di neuropatia diabetica, un’alterazione strutturale dei nervi legata all’iperglicemia cronica. Su questa
neuropatia si innesca un sovvertimento osseo e articolare che provoca deformità
tali da procurare ulcere difficilmente guaribili o recidivanti; queste possono
portare all’amputazione dell’arto colpito.
Le teorie sull’origine della patologia sono numerose ma è molto probabile una
genesi di tipo infiammatorio locale che, in alcune persone con neuropatia diabetica,
spinge l’osso del piede a subire alterazioni che sfociano nel Piede di Charcot.
Tuttavia la neuropatia diabetica sembra giocare un ruolo necessario ma non sufficiente
per spiegarne la comparsa, considerata la grande differenza tra l’elevata incidenza
della neuropatia e quella del piede di Charcot, che è piuttosto bassa. Un gruppo
di ricercatori dell’Unità Operativa di Medicina Interna e Angiologia del Policlinico
Agostino Gemelli di Roma ha indagato e ipotizzato il possibile coinvolgimento
di altri fattori; tra questi il più rilevante sembra essere la genetica.
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Sintomi Quasi sempre la malattia è a esordio acuto: il paziente manifesta segni di infiammazione
violenta tra cui arrossamento, dolore, aumento della temperatura del piede. I
sintomi molto spesso vengono confusi con quelli di altre patologie (come una banale
distorsione), ma un piede gonfio, edematoso, dolente in un diabetico deve far
pensare a questo tipo di affezione.
È inoltre possibile che vi siano piccole fratture, che possono anche sfuggire
all'esame radiografico. Se la fase acuta non viene diagnosticata e curata correttamente
e si continua a camminare con scarpe comuni, progressivamente i rapporti tra le
ossa del piede si alterano, vengono persi i normali rapporti articolari, si verificano
frammentazioni e distacchi ossei. Tutte queste anomalie peggiorano nel tempo e
conducono a quadri sempre più gravi di deformità, fino all'impossibilità di distinguere
le ossa tra di loro (alla radiografia il piede sembra un sacchetto con frammenti
ossei). In più possono determinarsi ulcere, la cui guarigione è tanto più difficile
quanto più grave è la deformità. La gravità dello Charcot è strettamente legata
alla sede primitiva interessata dal processo: il coinvolgimento dell’avampiede
comporta un rischio di amputazione basso, mentre è decisamente più elevato quando
viene interessato il mesopiede (articolazioni dei cuneiformi, del cuboide e dello
scafoide) ed è massimo se è intaccata la caviglia.
Diagnosi Al di là dei sintomi tipici che, come detto, potrebbero indurre in errore e far
pensare a un'altra patologia, essenziale per la corretta diagnosi nella fase acuta
è la valutazione della radiografia e della temperatura del piede, che risulta aumentata di almeno due gradi rispetto al controlaterale.
Terapie Attualmente non esiste un protocollo farmacologico efficace nel bloccare la progressione
di questa malattia diabetica. La diagnosi precoce permette, però, una gestione
conservativa dell'arto: se la terapia e le misure vengono messe in atto precocemente
si può fermare o almeno rallentare il processo di degenerazione ossea, tentando
di impedire che il piede diventi deforme. Tuttavia, anche nel caso di perfetta
tempistica diagnostica e curativa, l'Osteoartropatia di Carchot è una patologia seria e di complessa gestione. Il trattamento della fase acuta consiste nell'immobilizzazione con stivaletto
rigido: è fondamentale che il piede non poggi mai per terra, perché il carico
potrebbe contribuire al procedere del sovvertimento osseo. Lo stivaletto deve
essere tenuto per molti mesi (almeno tre-quattro), generalmente associando una
terapia medica con difosfonati. Ottenuta la stabilizzazione del quadro clinico,
lo specialista prescrive un’ortesi con scarpa su misura e plantare su calco per
contenere il piede e la caviglia.
La terapia delle deformità croniche dello Charcot è legata alla presenza o meno
di un’ulcera e al pericolo che sotto l’ulcera vi sia una infezione dell’osso.
Se questa è presente, è indispensabile rimuovere la porzione ossea infetta; quando
a essere coinvolte dall'osteomielite sono le ossa del retropiede (calcagno e astragalo),
è necessario procedere ad amputazioni maggiori, al di sopra della caviglia. Invece,
in assenza di osteomielite, è possibile sottoporre il paziente a un intervento
chirurgico che corregga le deformità o a un'ostectomia decompressiva (eliminazione
della parte di osso che provoca una pressione patologica sui tessuti). In caso
di Charcot del mesopiede si possono eseguire osteotomie di riallineamento, utilizzando
mezzi di sintesi quali fili o viti, che garantiscono una maggiore stabilità del
piede. Tra le terapie più innovative c'è l'impiego dei sostituti cutanei, che permettono un trattamento di tipo conservativo, rispettoso dei rapporti
tra tessuti molli e tessuto osseo. Tuttavia nessuna tecnica assicura risultati
certi e, comunque, è sempre necessario un lungo periodo di cure dopo l'intervento,
oltre all'uso di scarpe su misura che contengano il piede e la caviglia.
Bibliografia Fedele D., Diabete e malattie del metabolismo, Pacini Editore.
Uccioli L., Il piede diabetico. Fisiopatologia, clinica e terapia, Edizioni SEU.
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