L’olio di palma è presente in molti dei prodotti da forno industriali che fanno parte del nostro quotidiano: biscotti, merendine, cracker, pane, fette biscottate, grissini, dolci lievitati. Demonizzato da recenti campagne stampa e da una comunicazione scientifica superficiale, l’olio di palma viene comunemente considerato come un ingrediente nocivo. I nutrizionisti, però, concordano sulla sostanziale assenza di cancerogenicità e su una moderata aterogenicità, inferiore comunque a quella dei grassi animali. L’olio di palma è ricavato dalla polpa del mesocarpo del frutto della palma, che contiene circa il 50% di olio. È caratterizzato da un contenuto quasi totale di acidi grassi saturi, potenzialmente aterogenici, vale a dire che possono portare alla formazione di placche a livello delle arterie. Al contempo, però, è proprio la componente satura degli acidi grassi che ha un ruolo centrale nelle tecniche di pasticceria, perché a differenza dei grassi insaturi e polinsaturi come per esempio l’olio di oliva, non danno luogo a perossidi durante la cottura.
A livello nutrizionale ha anche qualità pregevoli: allo stato naturale, infatti, è ricco di carotenoidi e tocoferoli, precursori delle vitamine A e E, in quantità molto più elevate degli altri oli vegetali. Per questo prima di venire raffinato ha un intenso colore che volge al rosso.
Il processo di raffinazione separa l’olio in una frazione solida dall’aspetto simile al burro e in una liquida: proprio la presenza di queste due frazioni, il basso costo e l’ampia disponibilità sul mercato hanno contribuito alla sua diffusione, tanto che per alcuni paesi dell’Africa orientale e dell’Indonesia rappresenta una delle principali fonti di reddito. L’aspetto certamente più negativo dell’utilizzo dell’olio di palma in quantità massicce nell’industria alimentare non è tanto la sua composizione bio-chimica, quanto l’impatto ambientale della sua produzione, che rappresenta il 30% (rispetto per esempio al 2% dell’olio di oliva). Questo significa che in alcuni Paesi rappresenta una vera e propria monocoltura, per fare spazio alla quale vengono distrutti interi ecosistemi.
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