“Quando sono particolarmente nervoso io chiamo uno dei miei assistenti e gli chiedo
cosa faremo nei tre giorni successivi. Lui me lo dice e io mi sento meglio. Allo
stesso modo, più o meno, noi buddisti ci rapportiamo alla morte. La rendiamo un
territorio familiare, ed essa diviene meno spaventosa”. (Dalai Lama)
Non si può affrontare il tema dell’elaborazione del lutto senza introdurre il
tema della morte, ove le modalità soggettive di fronteggiamento della perdita
sono strettamente correlate alla personale concezione della morte, oltre che alla
struttura di personalità e alle influenze ambientali.
Il rapporto dell’uomo con la morte è sempre stato complesso ed emarginato a livello
di studi almeno fino al 1985, quando Philippe Ariès pubblicò “L’uomo e la morte
dal Medioevo ad oggi”; da allora si è verificato un incremento degli studi e una
ribalta della tanatologia che è appunto la disciplina che studia la morte; più precisamente la tanatologia
è divenuta lo studio del “concetto” di morte dopo che era stata limitata per lungo
tempo all’osservazione ed alla descrizione della “tanotomorfosi” (ossia della
trasformazione che subisce il corpo dopo la morte) ed alla descrizione di pratiche
funerarie e sul cadavere (“tantoprassi”), come dissezione anatomica e imbalsamazione
della salma.
Il lavoro con i malati terminali ha permesso un ulteriore incremento delle ricerche
sull’atteggiamento dell’uomo nei confronti della morte e oggi, con lo sviluppo
della ricerca psiconcologica, si assiste ad una minore emarginazione degli aspetti
inerenti alla morte. In questo ambito si sviluppa il lavoro sul lutto e sulla sua elaborazione che,
secondo Campione, consiste nel contrapporre al “deserto” del lutto, la “speranza”
di una ricostruzione per rivestire di senso la relazione avuta con la persona
defunta e ripartire con nuove relazioni.
La parola “lutto” si riferisce a tutte le manifestazioni esteriori e quindi a
tutti gli atti rituali che accompagnano la morte di una persona. Diverso è il
“cordoglio” che invece riguarda le intime reazioni emotive alla perdita. Quindi
il lutto è tutto ciò che ruota intorno alla perdita, ciò che è visibile, ciò che
è rituale. I riti fungono da contenitore delle angosce e aiutano nel percorso di elaborazione,
come sottolinea Ernesto De Martino nel suo saggio “Morte e pianto rituale nel
mondo antico" parlando di quella “stereotipia del cordoglio” di quell’“autoincantarsi”
con il lamento, il canto ed il pianto rituali. I riti, dunque, come primo “aiuto”
nel percorso di elaborazione che continua nell’intimità di ciascuno con tempi
e modalità differenti.
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Il tempo del lutto è stato “calcolato” in maniera differente da numerosi
studiosi,
ma il tempo del lutto cosa è? Cosa significa? La risposta si potrebbe mutuarla
da Freud che in “Lutto e Malinconia” parla del tempo del lutto come “quel tempo
in cui l’individuo trasforma l’assenza esterna dell’oggetto in presenza interna”. Generalmente, il percorso del lutto copre un tempo che statisticamente va dai
6 ai 24 mesi; chiaramente su questi tempi incidono sia variabili individuali che
sociali e culturali oltre al contesto e alle modalità in cui si è verificata la
morte. Di conseguenza, i tempi non sono rigidi.
Dopo una perdita possono presentarsi sintomi a livello cognitivo, emozionale, comportamentale, somatico e relazionale.
A livello cognitivo: difficoltà di concentrazione, lievi stati confusionali,
disorientamento, illusioni sensoriali, idee suicidarie transitorie, pensieri ricorrenti
relativi al proprio caro e alle circostanze della sua morte.
A livello emozionale: paura, rabbia, solitudine, tristezza, disperazione, stordimento.
A livello comportamentale: pianto, disturbi del sonno, diminuzione delle attività
quotidiane, isolamento, disturbi del comportamento alimentare, dipendenza dagli
altri.
A livello somatico: diminuzione dell’energia, dolori muscolari, sintomi somatici
d’ansia (tachicardia, vertigini, cefalea, ecc.), alterazioni dell’attività neuroendocrina
e immunitaria;
A livello relazionale: coinvolto a seguito di tutte le manifestazioni elencate, in quanto l’individuo
si muove in un contesto sociale che è composto dalla famiglia, dai colleghi, dagli
amici e anche in base alle risposte degli altri ai sintomi si profilerà l’intero
percorso del lutto.
Gli autori che principalmente si sono occupati dello studio del “processo” del
lutto sono E. Kubler-Ross, C.M. Parkes e J.W. Worden. Elisabeth Kubler-Ross, psichiatra svizzera, dopo il suo trasferimento negli Stati
Uniti ha maturato una profonda conoscenza della malattia terminale lavorando presso
il Billings Hospital di Chicago. L’appassionato e continuativo lavoro a contatto
quotidiano con la morte, le ha permesso di teorizzare l’evoluzione del processo
del lutto in un modello conosciuto in tutto il mondo. Molto note sono le “Fasi” del lutto enunciate dalla Kubler-Ross ed esemplificate
nello schema seguente:
NEGAZIONE
Shock e stordimento per la morte, ricerca nel proprio ambiente di rumori o presenze
del proprio caro
PATTEGGIAMENTO
Speranza nel ritorno del proprio caro, fare promesse affinché questo possa accadere
RABBIA
Frustrazione, rabbia verso il destino, il mondo, gli altri
DEPRESSIONE
Profonda tristezza e dolore per la realtà e l’irrimediabilità della morte
ACCETTAZIONE
Riorganizzazione e ritorno alla vita conservando i ricordi, senza che questo
determini un dolore insopportabile
Le fasi, generalmente, si presentano nell’ordine descritto ma possono anche seguire
un ordine differente, alternarsi, sovrapporsi e ripetersi nel corso del tempo;
questo perché la risposta emotiva agli eventi negli esseri umani non ha sempre
un decorso preordinato. Colin Murray Parkes, psichiatra inglese, si è principalmente occupato del lavoro
sul lutto. Dal 1966 ha lavorato presso l’Hospice del St. Christopher dove ha creato
il primo servizio dedicato all’elaborazione del lutto. Anche Parkes ha evidenziato un percorso in fasi di elaborazione:
STORDIMENTO
Shock, negazione, sentimenti di irrealtà, che durano ore o giorni
RICERCA
Intensa ricerca del congiunto, pianto, ansia da separazione, rabbia e irritabilità,
auto-accuse, perdita di autostima e del senso di sicurezza
DISORGANIZZAZIONE E DISPERAZIONE
Apatia, disperazione, isolamento e ritiro dalla vita sociale, senso di mutilazione
RIORGANIZZAZIONE E GUARIGION
Graduale ritorno alla vita, ricomparsa di interessi e del desiderio di pianificare
il proprio futuro
J. William Worden psicologo presso il Massachusetts General Hospital, ha concentrato
le sue ricerche sul suicidio, la cura dei malati terminali, la psiconcologia e
il lutto. Worden pone in evidenza quelli che ritiene essere gli obiettivi del lavoro sul
lutto:
ACCETTAZIONE DELLA REALTA’ DELLA PERDITA
Confrontarsi con la realtà della perdita e superare la normale tendenza a negare
l’evento della morte
ELABORAZIONE DEL DOLORE DEL LUTTO
Sperimentare il dolore e i sentimenti di depressione, isolamento, vuoto legati
alla perdita del proprio caro
ADATTAMENTO AD UNA REALTA’ NELLA QUALE IL PROPRIO CONGIUNTO NON C’E’ PIU’
Sviluppare nuove capacità per adattarsi ai nuovi ruoli, al nuovo senso di sé
e del mondo
DARE UN NUOVO SPAZIO AL PROPRIO CARO E PROSEGUIRE NEL PROPRIO PERCORSO DI VITA
Trovare un luogo nella propria vita interiore dove il proprio caro è presente,
pensarlo con un senso di tristezza ma non più con sentimenti di disperazione intollerabili
L’elaborazione del lutto è un processo fisiologico ma oggi si è più consapevoli
del fatto che esprimere il dolore e la sofferenza aiutino la persona nel percorso
di elaborazione; per questo motivo si sono sviluppati, nel corso degli ultimi
anni, i gruppi terapeutici di elaborazione del lutto e i gruppi di auto-aiuto.
Un breve riferimento deve esser fatto al lutto complicato sulla cui origine incidono
vari fattori:
1. Morte improvvisa e/o tragica
2. Lutti precedenti
3. Repressione emotiva
4. Assenza o inadeguatezza delle reti di aiuto
5. Problematiche familiari preesistenti
6. Presenza di eventi stressanti significativi (malattie, separazioni, ecc.)
7. Disturbi psicologici antecedenti la perdita
8. Dipendenza nei confronti del defunto quando era ancora in vita
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Il quadro psicopatologico che si verifica fra il 10% e il 36% dei casi
è la depressione maggiore. In questi casi la cura del disturbo risulta necessaria.
Bibliografia - Ariès P. L’uomo e la morte dal Medioevo ad oggi. Laterza, Bari, 1985
- Di Mola G. “La cultura della morte”. In Moretta M., Tommasi R. Il percorso del morire. Unicopli, Milano, 1995
- Campione F. Il deserto e la speranza. Armando, Roma, 1990
- De Martino E. Morte e pianto rituale nel mondo antico. Dal lamento funebre antico al pianto
di Maria. Bollati Boringhieri, Torino, 2008
- Freud S. “Trauer und Melancholie”. Tr. It., Lutto e Malinconia. 1915. In Opere vol. 8 Boringhieri, Torino, 1989
- Kubler-Ross E. On death and dying. Chicago, 1965. Tr. It., La morte e il morire. Cittadella, Assisi, 1976
- Parkes CM. Bereavement: studies of grief in adult life. 3rd ed. Harmondsworth, Pelican, 1998
- Worden JW. Grief counseling and grief therapy. A Handbook for the mental health practitioner. New York, Springer, 1991
- Chochinov H. M., Holland J. C., Katz L. Y."Bereavement: a spezial issue in oncology“. In Holland J.C. Psycho-oncology. Oxford University Press, New York, 1998
- Biondi M., Costantini A., Grassi L. La mente e il cancro. Il Pensiero Scientifico, Roma, 1995.
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